“Quello che non ho / sono le tue parole, / per guadagnarmi il cielo, / per conquistarmi il sole”. Odio le citazioni, ma questa mi rappresenta al meglio. Sì, esatto. Parole… Certo, perché di pistole non se ne parla proprio. Mi ci vedete a reggere il peso di una rivoltella, in uno spazio aperto, così esile e dinoccolato come sono? Servirebbe anche equilibrio. Sono certo di non essere a posto, quanto a cervelletto e nervo cranico vestibolococleare. Saper prendere la mira, poi… Contro chi? Contro cosa? Forse contro il maledetto tempo perso, che non può tornare. Possedere parole sarebbe più che sufficiente. Con le parole giuste, accatastate nell’ordine corretto, usate con gusto e cura, si superano gli esami universitari brillantemente. Anche da casa, on line – mondo che per me non ha segreti. Non consideriamo la tesi, remoto miraggio. Ma io il linguaggio non lo possiedo: viene e va, mi sfugge, mi abbraccia, mi abbandona. Come quella stronza che, ho saputo, ieri ha sposato un mio amico. Ribattezziamoli entrambi “ex” e facciamola finita. Quanto mi ferisce avere Instagram e poterli contemplare immortalati nella loro stucchevole felicità! Non fossi così affamato di bellezza, naturale e artificiale, me ne sbarazzerei. Non avessi così bisogno almeno di un mio personale universo alternativo… Se possedessi il linguaggio, saprei descrivervi la meravigliosa avventura che consiste nel mio tragitto camera – bagno, bagno – camera. Naturalmente al buio, per evitare accuratamente il riflesso dello specchio nel corridoio, che nella penombra sa investirmi comunque della sua scala di grigi. E non vi dico la fatica del non buttar giù le piante al mio passaggio! Richiede grande concentrazione, visto lo scarso equilibrio. Non capite il mio umorismo, vero? Non lo capiscono neppure i miei, dei quali non so più sostenere il contatto visivo a lungo; dei quali voglio dimenticare il sarcasmo e le sfuriate cui, arresi, hanno ormai rinunciato. Mi chiamo F. e ho 29 anni. Troppi. Lo spauracchio dei 30, di prossimo arrivo, mi investe di terrori, peggio del bullo del liceo. Chissà che avranno avuto di tanto grottesco allora la mia andatura, la mia risata, la mia grafia alla lavagna, da essere oggetto di cotanta costante e martellante invettiva. Non lo capirò mai. Avrei preferito mi ficcasse la testa nel cesso. Perdono cristiano? Io attendo quel tizio da anni alla foce del fiume. Non ho più avuto sue notizie – non usa social, a quanto pare. Ma, come minimo, sarà diventato ingegnere e avrà seminato sulla Terra altri bastardi come lui. Vi lascio: mi scrive la mia attuale sbandata, una norvegese. Le ho saputo dire quanto ammiri il suo poetico ed estatico inno nazionale, nella sua lingua. Grazie di cuore, Google Translate! Il tuo recente netto miglioramento è vitale, per quelli come me. Non so che aspetto abbia, neppure lei pubblica sue foto. Siamo due ombre che si nutrono con lo sguardo della luce fioca filtrata dalle tende.
In questa categoria sono riuniti una serie di autori che, pur non facendo parte della redazione di Sardegna blogger collaborano, inviandoci i loro pezzi, che trovate sia sotto questa voce che sotto le altre categorie. I contributi sono molti e tutti selezionati dalla redazione e gli autori sono tutti molto, ma molto bravi.
Renatino e i misteri di Roma (di Giampaolo Cassitta)
Elio e le storie disattese (di Francesco Giorgioni)
The show must go on (di Cosimo Filigheddu)
Vincerà Mengoni. Però… (di Giampaolo Cassitta)
Ero Giorgia, e ricanto. (di Giampaolo Cassitta)
Piacere, Madame. (di Giampaolo Cassitta)
Se son fiori spariranno (di Giampaolo Cassitta)
Ma Sanremo è Sanremo? (di Giampaolo Cassitta)
Pacifisti e pacifinti (di Simone Floris)
Lo specchietto (di Salvatore Basile)
Da San Gavino a San Cristoforo, quando colonizzammo il Villaggio Verde. Ovvero il trasloco (di Sergio Carta)
Se riesco a buscare 5000 Lire ci vediamo allo Zoom, ovvero le pomeridiane in discoteca degli anni’80. (di Sergio Carta)
Papa Fazio (di Cosimo Filigheddu)
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