Quelli che con gesto teatrale si alzano dai dibattiti cui sono presenti formazioni neofasciste, perché parlarci significherebbe legittimarle, fanno un grosso favore alle formazioni neofasciste. Perché il problema non sono tanto quei fascisti che fanno di tutto per rendersi riconoscibili, conciandosi da squadristi e aggregandosi in partiti politici o gruppi d’opinione e riesumando simboli e pose che credevamo sepolti dalla storia sotto la vergogna. Il problema non sono tanto loro, ma tutti gli altri. Tutti quelli che non vedremo mai in un comizio, ma vediamo ogni giorno, attorno a noi. Sono tutte quelle persone delle nostre vite che solo adesso scopriamo essere sempre state fasciste, ma finora non avevano mai avuto il coraggio di ammetterlo apertamente.
Il fruttivendolo del negozio sotto casa che ci era sempre parso tanto una brava persona e oggi senti dire che, tutto sommato, quello dalla testa grossa non era così male, certo era molto meglio di questi lavativi cacciatori di poltrone e stipendi di adesso.
Il capo meccanico dell’officina di fiducia, sempre cordiale e serissimo sul lavoro, che confessa di essere felice nel vedere che la moda del saluto romano è tornata in voga.
Il vicino di casa che incontri mentre fai la fila all’ufficio postale e ascolti mentre cerca di persuadere quello attorno a lui che, oggi come oggi, una nuova dittatura sarebbe il minore dei mali e una bella bomba al Parlamento sarebbe il meglio che ci possa accadere.
Il pensionato gonfio di rabbia che, nella sala d’attesa del medico, avverte gli altri attempati utenti che la politica abbasserà le pensioni per pagare le diarie ai migranti, povera Italia, e se ci fosse stato LVI tutto questo non sarebbe accaduto!
Il collega di lavoro che “la storia va riscritta, perché i partigiani erano assassini più crudeli dei fascisti”.
È una marea nera sempre più estesa e distruttrice che vuole seppellire il chiacchiericcio della politica, lo vuole bruciare, estirpare, vuole raderne al suolo i palazzi e spargere il sale sopra la terra arsa che vi resterebbe, preferendo un amministratore delegato dalle maniere spicce che decida per tutti.
Sarà levandogli il saluto e cambiando marciapiede che leveremo forza alle loro chiacchiere? Si può smettere di parlare con fruttivendolo, col meccanico, col pensionato, col vicino di casa e col collega di lavoro, si può smettere di parlare con tutti quelli che si sono stancati della democrazia? No, bisogna trovarli la voglia e il coraggio per parlarci, per affrontarli, per accettare la sfida all’ufficio postale, alle casse dei negozi, dal medico, al lavoro. Bisogna studiare la storia e gli orrori delle dittature per difendere la democrazia, per quanto imperfetta sia.
Quando il candidato di un partito democratico rinuncia al confronto col candidato di un partito neofascista, dandone annuncio e appuntandosi al petto la medaglia di merito, io credo venga visto come perdente da chi osserva dal crinale dell’indecisione. E sempre più gente penserà che questa rinuncia sia snobismo, impreparazione, incapacità di affrontare con gli argomenti questa soffocante, nuova marea nera. Il fascismo si combatte con la parola, non col silenzio. “Tutto quello che ho per difendermi è l’alfabeto: è quanto mi hanno dato al posto del fucile” (Philip Roth).
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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