Vedere una qualsiasi realtà sconosciuta attraverso i media non può e non deve dare l’idea di “conoscere” per questo quei posti. I posti si visitano, le persone si guardano negli occhi e si ascoltano con le proprie orecchie, si assaggiano i loro cibi, si beve la loro acqua e, ma solo se si è davvero attenti, si cammina nelle loro scarpe. Solo a quel punto, si potrà cominciare a pensare di conoscere quel posto, di sapere chi è quella gente.
Se ne sentono e leggono tante, sui giovani, di belle e di brutte. Si drogano, ma sanno anche essere dei bravi volontari e di volontari ce n’è un’infinità anche se, per tanti di loro, il temine “volontario” non sempre è appropriato, perché chi percepisce compenso non è del tutto un “volontario”, ma un “lavorante” semmai.
Abbandono scolastico, maleducazione, arroganza e bullismo, poco rispetto per il bene comune; tutte negatività che vanno di pari passo con una sempre maggiore mancanza di spazi “vivibili” e di capacità di convivenza. Isolati spesso nei loro mp3 e cuffie o nell’interattività informatica persino quando stanno insieme. Poi ci sono i geni, quelli che a sedici anni inventano l’oggetto o la formula che rivoluzionano le leggi fondamentali di molta scienza.
E poi i coraggiosi, così li definisco io, perché si attivano, si ingegnano e si impegnano per realizzare qualcosa che gli permetta di vivere in modo alternativo a quanto, molto fallimentarmente per molti e proficuamente per pochi, il nostro sistema gli proponga. Sono quelli che elaborano un progetto corale e si organizzano per realizzarlo. Due sole realtà di questo tipo vedo nell’isola, entrambe nel “cabu e susu”, due realtà che nel giro di pochi mesi, hanno mostrato a tutti che dalla cultura, anche da quella “alternativa”, si può campare eccome. Non ci si arricchisce di denaro, assolutamente, ma si accumulano molte più preziose esperienze, conoscenze, contatti, confronti, discorsi e sentimenti. Si acquista la capacità di convivere nel rispetto insieme a persone differenti. Si prova il piacere della solidarietà spontanea, vera, non indotta, limitata e pietosa.
Sono realtà che fanno bene alla società dalla quale, come molti “istituzionalizzati” enti invece fanno, non prendono nemmeno un quattrino oltre quelli di chi, spontaneamente, partecipa alle loro attività e proposte. Concerti, incontri culturali, poesia, teatro, erboristeria, danza, musica, recitazione e tante altre attività altrimenti assenti in un già misero repertorio proposto per mero scopo di lucro da un settore, quello della cultura, a cui stanno tagliando anche le gambe, ma nel quale vagonate di denaro pubblico sono state spese e si spendono per ripetere sempre le stesse cose, sempre le stesse dirigenze.
Realtà che non danno fastidio a nessuno se non a certe amministrazioni poco lungimiranti e poco interessate a diffondere cultura. Realtà che sono state importanti ed attivissime quando c’è stato da mobilitarsi per gli alluvionati galluresi o per altre calamità, che colorano con la lana o con lo spray due cimiteri di paese come Sassari e Porto Torres. Realtà che qualcuno vuole fare spegnere, mentre in tutta Europa le si aiutano a nascere e crescere e se ne condividono i frutti, che sono sempre per tutti…
Lunga vita quindi, all’Ex Q ed al (csoa) PANGEA! [gavin®icci]
In questa categoria sono riuniti una serie di autori che, pur non facendo parte della redazione di Sardegna blogger collaborano, inviandoci i loro pezzi, che trovate sia sotto questa voce che sotto le altre categorie. I contributi sono molti e tutti selezionati dalla redazione e gli autori sono tutti molto, ma molto bravi.
Renatino e i misteri di Roma (di Giampaolo Cassitta)
Elio e le storie disattese (di Francesco Giorgioni)
The show must go on (di Cosimo Filigheddu)
Vincerà Mengoni. Però… (di Giampaolo Cassitta)
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Ma Sanremo è Sanremo? (di Giampaolo Cassitta)
Pacifisti e pacifinti (di Simone Floris)
Lo specchietto (di Salvatore Basile)
Da San Gavino a San Cristoforo, quando colonizzammo il Villaggio Verde. Ovvero il trasloco (di Sergio Carta)
Se riesco a buscare 5000 Lire ci vediamo allo Zoom, ovvero le pomeridiane in discoteca degli anni’80. (di Sergio Carta)
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