Antonioni chi ha fatto una trilogia, sull’incomunicabilità: L’avventura, La notte e L’eclisse; e Monica Vitti, quella enorme statua di bravura, ne è stata protagonista. A casa, ieri ne ho visto un altro di film sulla incomunicabilità: La sposa greca. Finisce esattamente come L’eclisse: un uomo e una donna che scopano con passione e si danno appuntamento il giorno dopo, per partire insieme. Stranamente un appuntamento di mattina, in entrambi i film. E in entrambi i casi, l’appuntamento fallisce perché uno dei due (o entrambi) decidono di non presentarsi. E lo fanno senza aver detto alcunché all’altro. Non ci si parla, e le cose vanno a ramengo. E questo accade sempre: sia sul piano delle intime relazioni sia su quello più macro, delle relazioni tra istituzioni, movimenti, partiti e/o espressioni diverse della società civile.
Se qualche isolano pazzo regista (e non ne mancano) dovesse decidere di girare un cortometraggio sulla faccenda dell’inceneritore di Tossilo sarei fortemente tentato di suggerire sceneggiature con passo e colore di quei film sopra citati.
La Giunta regionale dà il via libera, in tempi rapidissimi, al progetto di ristrutturazione del termovalorizzatore di Tossilo e approva la delibera relativa alla valutazione di impatto ambientale del Savi sull’intervento. Nel frattempo, il cosiddetto “centrosinistra” si frantuma durante il vertice di maggioranza, alcuni alleati chiedono di approvare il Piano dei rifiuti prima di dare il via libera all’ampliamento dell’inceneritore. In Consiglio regionale scoppia un casino e in tanti si offendono perché il Presidente Pigliaru si è presentato prima alla stampa che in Consiglio per spiegare la posizione della Giunta sulla faccenda.
Molti peppeddiani, alcuni postpeppeddiani e molta gente onesta organizza con un Comitato la giornata di protesta contro l’inceneritore intitolata “Non bruciamoci il futuro”. Il cuore del ragionamento (e del sentimento preoccupato) è che il progetto presentato dal Consorzio Industriale in liquidazione di Tossilo “non risponda alle reali necessità della Sardegna, ma al contrario rappresenti un pesante condizionamento per una gestione virtuosa dei rifiuti a livello regionale e una reale minaccia per lo sviluppo del territorio interessato e per la salute dei cittadini che lo abitano”.
Si svolge la protesta. Macomer ha 10.309 abitanti. A quanto pare non è necessario utilizzare i raffinatissimi strumenti di calcolo dei partecipanti alle manifestazioni (http://www.agoravox.it/Manifestazioni-e-balletti-di-cifre.html), basta il dito: sono – esagerando – 500. Pochissimi in generale, pochissimi i manifestanti indigeni: un fallimento.
Nello stesso tempo, proprio nel giorno del sit-in che contesta il progetto del termovalorizzatore, controprotestano i dipendenti dell’impianto. Contrapponendosi agli ambientalisti, indipendenti e comitati che chiedono lo stop al nuovo inceneritore, i lavoratori sbandierano uno striscione dietro i cancelli: «Siamo stufi dei comitati bugiardi a pancia piena». Un paio di giorni prima, gli stessi dipendenti (che non sono solo due o tre buste paga …) avevano occupato la Sala Multifunzionale dell’impianto e scritto alla giunta chiedendo che la stessa decidesse “una volta per tutte la ristrutturazione dell’impianto” (http://www.ilmarghine.net/notizie/attualita/1360/inceneritore-di-macomer-i-lavoratori-della-tossilo-spa-protestano-e-occuppano-la-sala-multimediale-dellimpianto).
A distanza di pochissime ore, l’Amministrazione Comunale di Macomer dà mandato ad un legale per valutare se vi siano i termini di un danno all’immagine del territorio a seguito di quella che si ritiene “una pressante campagna mediatica” sul tema Tossilo, nella quale “la perentorietà dei toni e delle tesi propugnate da quanti intervengono nel dibattito pubblico, stanno di fatto favorendo una identificazione di Macomer (e del suo territorio) come luogo insalubre”. Nel migliore dei casi, un’azione che fa sorridere. Nel peggiore, piangere.
Ora, a quanto pare, in questa partita ci sono molte voci che parlano, qualcuna urla, qualcun’altra bela. E’ normale, quando ci sono molti interessi in gioco che riguardano campi distintamente fondamentali delle vita umana: il rispetto della salute, quello della sostenibilità di percorsi di smaltimento dei rifiuti, quello della sostenibilità delle possibilità di sopravvivenza di chi in quell’impianto per il proprio lavoro quotidiano recepisce il proprio stipendio, quello della possibilità di decidere in capo ai decisori politici, quello della possibilità di fare “voice” (direbbe Albert Hirschman) per chi crede in certi valori di rispetto delle cose umane e naturali, che sono cose di equilbrio e non di squilibrio a favore di interessi privatistici monetizzabili. Interessi di tutti, quindi.
Il punto è che Antonioni e Fatih Akin lo avrebbero filmicamente declinato bene questo spaccato di incomunicabiliità tra i giocatori di questa partita, dove l’esito più importante pare il fallimento. Un fallimento nel tenere insieme le voci e farle dialogare o, almeno ritornare sui propri passi per verificare ciò che non è andato in porto e che avrebbe potuto avere altro esito.
Il Presidente Pigliaru e la Giunta non potevano costruire un percorso decisionale con tempi più dilatati? Le “convulsioni” territoriali lo suggerivano…
Nessuno dei partecipanti del Comitato si è interrogato sui bassi numeri della manifestazione, sull’assenza degli indigeni? Nessuno di loro si è posto il problema, preliminarmente, di sentire i lavoratori dell’impianto, l’amministrazione locale, i sindacati o altri corpi intermedi del posto per costruire una grammatica comune sul tema? Perché?
Nessun amministratore locale si è chiesto come poter coniugare, in tempi non biblici ma a portata di Natale, le trasformazioni dell’assetto organizzativo e tecnologico dell’impianto con le diverse paure che albergano in animi molteplici: quella di veder rovinato lo stato di salute degli indigeni e del territorio e quella di veder rovinata la propria sostenibilità di un progetto di vita individuale e familiare fondata sullo stipendio recepito grazie al lavoro nel termovalorizzatore? La sostenibilità di un territorio già terribilmente martoriato dalla desertificazione industriale degli anni scorsi invoca la difesa del posto di lavoro, ma forse non basta. Ci vorrebbe un ragionamento che escluda la metafora della coperta corta…
Insomma, al di là delle retoriche in campo (che abbondano più dell’aliga trasformata a Tossilo), questa vicenda dovrebbe essere letta come un serio campanello d’allarme della incapacità di individuare, sperimentare e far crescere, uno strumento di costruzione di politiche pubbliche per il territorio, una governance più partecipata. E’ un’assenza importante che non porta lontano, se non ad ulteriori, inutili, dannose frantumazioni. Per tutti.
In questa categoria sono riuniti una serie di autori che, pur non facendo parte della redazione di Sardegna blogger collaborano, inviandoci i loro pezzi, che trovate sia sotto questa voce che sotto le altre categorie. I contributi sono molti e tutti selezionati dalla redazione e gli autori sono tutti molto, ma molto bravi.
Renatino e i misteri di Roma (di Giampaolo Cassitta)
Elio e le storie disattese (di Francesco Giorgioni)
The show must go on (di Cosimo Filigheddu)
Vincerà Mengoni. Però… (di Giampaolo Cassitta)
Ero Giorgia, e ricanto. (di Giampaolo Cassitta)
Piacere, Madame. (di Giampaolo Cassitta)
Se son fiori spariranno (di Giampaolo Cassitta)
Ma Sanremo è Sanremo? (di Giampaolo Cassitta)
Pacifisti e pacifinti (di Simone Floris)
Lo specchietto (di Salvatore Basile)
Da San Gavino a San Cristoforo, quando colonizzammo il Villaggio Verde. Ovvero il trasloco (di Sergio Carta)
Se riesco a buscare 5000 Lire ci vediamo allo Zoom, ovvero le pomeridiane in discoteca degli anni’80. (di Sergio Carta)
Papa Fazio (di Cosimo Filigheddu)
sardegnablogger ©2014 created by XabyArt - graphic & web design