Io non lo so chi abbia ucciso Giulio Regeni, forse non lo sa nessuno. Non è di mandanti ed esecutori che voglio parlare, né di indagini o depistaggi. Forse la sua fine è arrivata per una fatalità, forse qualcuno l’ha premeditata: io non lo so. So però che nella curiosità e nel bisogno di sapere e di capire del giovane Giulio, nella sua volontà di vedere altri mondi per respirarne l’aria e conoscerne i colori, in questo bisogno di evadere dal cortile di casa per mettersi nei panni degli altri, impararne la lingua e condividerne le battaglie, in questo slancio io vedo la speranza di un nuovo Rinascimento. Giulio poteva starsene al sicuro tra le comodità della provincia friulana, fingendo di soddisfare il suo bisogno di conoscenza attraverso i libri. Giulio poteva fare altro, accontentarsi, oppure imprecare contro la mancanza di lavoro o i raccomandati. Invece aveva scelto una strada diversa e non potevano bastargli i libri o le cronache, come a nessun grande pensatore sono mai stati sufficienti i racconti degli altri. “Tutto quel che accade nel mondo mi riguarda, ogni ingiustizia del mondo è un’ingiustizia ai miei danni”, assicuravano i giovani di qualche generazione fa. Giulio voleva vedere con i propri occhi, toccare con le proprie mani, annusare quelle atmosfere con le proprie narici. Non è da tutti, in tempi in cui l’unico viaggio che non desta diffidenze è quello nei villaggi vacanze all inclusive, bar sulla spiaggia privata e vigilanza armata all’ingresso. Oggi si viene considerati stravaganti o irresponsabili se si viaggia in direzione opposte a quella dei migranti, oggi è meglio starsene chiusi a casa o scegliere solo mete sicure. Ed invece abbiamo un disperato bisogno di capire, Giulio lo sapeva e non poteva farne a meno. Giulio cercava di capire. Come i grandi esploratori della storia, come Colombo, Vasco De Gama, Magellano, Marco Polo.
Il 5 settembre 1580 Montaigne partì dalla Francia su un carro trainato da due muli. Aveva con lui un mulattiere, due lacché, due camerieri. Era un nobile cui nulla mancava, ma volle avventurarsi in un viaggio lunghissimo e disagiato perché voleva capire. Arrivò in Italia varcando le Alpi, la attraversò in lungo ed in largo, assisté alla messa di Natale in San Pietro, visitò ogni giorno una città ed un villaggio diverso. Ogni luogo corrispose alla demolizione di un pregiudizio, ogni borgo aveva una storia che solo sentendola da chi l’aveva vissuta sapeva di autentico. Il suo Viaggio in Italia è ancora oggi un classico della letteratura, un reportage coi fiocchi di quei tempi. Tutto quel che abbiamo conquistato nella storia lo dobbiamo a chi ha saputo rischiare con entusiasmo. A quelli come Giulio dovremmo dire grazie. Tutti.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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