Nei giorni scorsi ho deciso che avrei visto l’ultimo film di Martin Scorsese, The Wolf of Wall Street. A dire il vero, la storia del broker finanziario Jordan Belfort non mi pareva potesse presentare grandi elementi di novità. Ascesa, successo e inevitabile caduta di un guru del rapace mondo della finanza. Cose già viste. Il motivo che mi ha spinto a cambiare idea e a vedere il film sono state alcune recensioni di spettatori trovate sul web.
La quasi la totalità dei commenti riguardavano le “mirabolanti” scene di sesso. E mi è tornato in mente un articolo del critico cinematografico de L’Unità Alberto Crespi sull’ultima mostra di Venezia, intitolato “Basta stupri, orifizi,orge”.
L’articolo di Crespi, con intelligente ironia, era una supplica agli organizzatori dei festival che troppo spesso, ultimamente, strizzano l’occhio a realizzatori di opere di dubbia qualità ma che si presentano come portatori di novità e osservatori di una realtà disturbante, ma vera.
Mi sono chiesta se il film di Scorsese fosse inseribile in questa categoria. La risposta è no. Agli internauti autori di quelle recensioni – forse orfani della mancata uscita italiana di un’altra opera pseudo scandalosa, The Nynphomaniac di Von Trier- direi che quelle sequenze, poco più che dei coup d’oeil, sembrano innocenti rispetto a quelle in cui il protagonista spiega come un broker possa guadagnare 22 milioni di dollari in un giorno vendendo azioni spazzatura per magari spenderne 2 in una festa di addio al celibato.
Pertanto, assolvo Scorsese da eventuali accuse di uso furbesco e strumentale di immagini sessualmente esplicite.
Ma la preghiera di Alberto Crespi resta valida. Leggendo e parlando di cinema, sempre più ci si trova costretti a parlottare di orge, rapporti orali, perversioni varie.
“ Sono andato a vedere La vita di Adele”, mi dice un amico.
“ Mmh. Com’è?”
“ Venti minuti di scene lesbo. Non ne potevo più, mi sentivo un voyeur e mi chiedevo … ma che me ne frega?”.
È vero che il cinema non fa altro che rappresentare la realtà. La nostra realtà è anche questa. Siamo tutti pornografici. E allora rappresentiamoci per quelli che siamo, è giusto. Ma a chi serve nel 2014 vedere come due donne fanno sesso in un film convenzionale? Serve per scandalizzarci? Si poteva parlare di scalpore nel 1936, anno in cui il surrealista Man Ray girò un corto dal titolo “ Deux Femmes ”. Che cosa facessero queste due donne, non c’è bisogno che ve lo spieghi.
Un appello ai registi e agli addetti ai lavori lo si potrebbe lanciare. Ricordo una frase di Umberto Galimberti: “La pornografia in realtà uccide il desiderio. Dopo aver visto i genitali di una persona, cosa mai potrò desiderare di vedere?”.
Sugli effetti fisiologici dell’abuso della pornografia rimando ad altri esperti. Qui rifletto più che altro sulle conseguenze nel cinema e le sue storie. Cari registi, sceneggiatori, organizzatori di mostre, sforzatevi di più affinché la nostra fantasia e il nostro desiderio non muoiano. Donateci in regalo, ogni tanto, una semplice, eccitante intuizione. Personalmente preferisco mille volte le forme semi nascoste di Marylin Monroe che canta I wanna be loved by you e il suo tentativo di seduzione del finto impotente Tony Curtis in A qualcuno piace caldo che le scene – scandalosissime! – di The Dreamers di Bertolucci nelle quali l’imbarazzo è originato dalla noia.
Poi fate voi, è anche un vostro rischio e pericolo se capiterà di trovare a Venezia cose orribili come il simil porno francese Baise – moi. Lettori, non sentitevi in colpa se non ve lo ricordate.
Addetti ai lavori, casomai avvertite prima con dei comunicati stampa, e magari il pubblico organizzerà gite in altri lidi e visite a siti provvisti di immagini forti, che hanno però il vantaggio di essere accessibili gratuitamente.
A proposito di cinema, il video che allego è una scena da uno dei miei film preferiti, Ascensore per il patibolo di Louis Malle. La tromba di Miles Davis accompagna una sensualissima – e sottolineo, vestitissima – Jeanne Moreau in una lunga camminata notturna sotto la pioggia.
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