Un aspetto deprimente di queste elezioni è sapere che i nuovi amministratori di città come Roma e Torino avranno a che fare con un Governo nazionale che li avversa palesemente e che cercherà in tutti i modi di rendere loro la vita difficile. Niente di sorprendente, in fondo. La carta del “Governo amico” è una di quelle più gettonate e utilizzate sia da destra che da sinistra. Pensate, cari elettori, come sarà più semplice per noi “amici” dello stesso partito avere i soldi per costruire questo e quello. Si gioca sporco senza pudore né ritegno, approfittando della scomparsa di quel sentimento nobile che si chiama indignazione. Renzi non è certo la persona giusta per sperare in un’inversione di tendenza. Fassino, che spiega la sconfitta evocando addirittura l’invidia sociale, rende chiarissima l’idea di un partito sempre meno disposto a metabolizzare i segnali di cambiamento, preferendo addossare le responsabilità a fattori esterni. Dalle righe dei quotidiani nazionali più influenti, Repubblica in primis, traspare il sorriso maligno di chi si prepara ad addentare la preda. “Spesso la nostra narrazione non risulta al Paese e le carezze che ci fa l’establishment, compresa parte dell’informazione, ci fanno velo sulla realtà” ha detto Pierluigi Bersani al “Corriere della sera”, centrando un punto poco dibattuto ma fondamentale.
La tanto evocata questione morale è stata affrontata e superata dal centrosinistra con destrezza appellandosi al classico “così fan tutti”. Poco importa che mezza classe dirigente del tuo partito abbia problemi con la giustizia per reati legati all’amministrazione della cosa pubblica, l’importante è trovare qualcosa che infanghi l’immagine dell’avversario. Il caso Raggi-Asl, tirato fuori ad arte due giorni prima del ballottaggio, dovrebbe quindi fare il paio con le mani in pasta del Pd romano in Mafia Capitale? Un acconto di 1800 euro dichiarato in ritardo (ma comunque dichiarato) in un modulo che i consiglieri comunali devono compilare in base alla legge sulla trasparenza sarebbe paragonabile alle connivenze con il clan Carminati che emergono dalle carte della procura romana? E senza neppure uno straccio di controprova, dal momento che la magistratura ha negato l’esistenza di un’inchiesta a carico della Raggi. Insomma, si cerca fango anche dove non ce n’è per rendere tutti delinquenti almeno un po’. Per anni e anni il Pd ha cercato di delegittimare Berlusconi più sul piano morale che su quello politico. Ora che le parti si sono rovesciate, dimostra di aver costruito una falsa raffigurazione di sé. E reagisce con la medesima dose di stizza del suo vecchio nemico, oggi sul viale del tramonto principalmente per cause naturali.
Anche a Olbia la novità M5S faceva paura. Anche qui c’era di mezzo una donna candidata. Anche qui la prima mossa degli ambienti del centrosinistra è stata quella di cercare il fango. A Teresa Piccinnu è stato addebitato un vecchio abuso edilizio per una casa che appartiene ai familiari; inoltre, visto che ha vissuto e lavorato per tanti anni in Emilia, hanno pensato di eroderne la credibilità sostenendo che, in realtà, non fosse olbiese. Come se domani Paolo Fresu si candidasse per diventare sindaco di Berchidda e venisse additato come parigino. Tutte qui, perlopiù, le critiche ai pentastellati, insieme alle banali considerazioni sull’assenza di esperienza amministrativa (concetto che sembra fatto apposta per mantenere i soliti culi sulle solite sedie). Poco o nulla, invece, sulla criticabilissima idea di scegliere gli assessori in base a un bando di concorso, a mio avviso un’autentica sciocchezza.
Il M5S, alla prima esperienza alle amministrative in una città complessa come Olbia, non è arrivato al ballottaggio, come molti temevano. C’è arrivato invece, come un rullo compressore, il nemico numero uno della sinistra locale, Settimo Nizzi. Si dice che il centrosinistra volesse proprio lui al ballottaggio. Ciò pone seri interrogativi sulla validità degli strateghi della coalizione, guidata da un manipolo di vecchi mestieranti del porta a porta elettorale, uomini-ombra, aspiranti aghi della bilancia e gli immancabili “zero virgola” a caccia di poltrona. Davanti i giovani, dietro sempre loro. Il deputato Gian Piero Scanu, l’unico ad aver capito in anticipo il rischio al quale andava incontro il Pd con le primarie, esce tutto sommato rafforzato da questo pasticcio. La sua idea di candidare un “civico” per annacquare la connotazione partitica della coalizione, in un momento di forte difficoltà per il brand del Pd (confermato dai risultati su scala nazionale) è stata travolta dalla furia delle correnti interne. Conoscendo i nostri polli, la resa dei conti non tarderà a manifestarsi.
Si dirà che, in fondo, il candidato Carlo Careddu ha perso di stretta misura. Ma si tratta di un’analisi assai superficiale. Per capire meglio, occorre valutare la forza della corazzata messa su dal centrosinistra compatto e lo scatto solitario di un uomo solo praticamente senza gregari. Perché Nizzi ha corso realmente da solo, dopo cinque anni in cui è letteralmente sparito dalla scena politica, senza un Berlusconi da presentare, senza la carica di un partito come Forza Italia, ormai praticamente dissolto e la cui presunta resurrezione olbiese è solo il riflesso della straordinaria performance di una singola persona. Ecco perché la sconfitta del centrosinistra olbiese non è stata di misura ma sostanziale. Non credo che il centrosinistra abbia pagato più di tanto gli effetti del piano Mancini, il contestato progetto destinato a mettere al sicuro la città da nuove alluvioni. E’ passato, invece, un concetto semplice semplice, uno slogan: per cinque anni avete pensato solo a litigare, lasciate la città in mano a chi ha dimostrato, in passato, di saper governare. La città ha semplicemente pensato che Nizzi fosse un’alternativa credibile a un Pd che, per cinque anni, si è presentato diviso persino in consiglio comunale e che non ha mai preso seriamente le distanze da una Regione “amica” la cui azione riformista si è rivelata spesso irrispettosa verso la città. In questo senso, la minaccia del consigliere regionale di Loiri, Giuseppe Meloni, corrente Degortes-Careddu, di passare all’opposizione giunge fuori tempo massimo. Si direbbe “a babbu moltu”, buona solo per raccogliere i peana di chi magari si presta ingenuamente ad addebitare a Francesco Pigliaru le colpe del centrosinistra locale.
Il tifo incondizionato sembra essere diventato il sale della politica; si tifa X o Y come fosse il Milan o la Juventus. Spuntano ultras ovunque, avvelenando i confronti con fischi e urla. Non c’è voglia di ragionare, di informarsi, di porsi e porre domande. Trionfano i lanciatori di fango professionisti, soprattutto su Facebook, dove la campagna elettorale olbiese ha avuto picchi di cattivo gusto, per usare un eufemismo, mai visti. Questo è il fastidioso, pericoloso clima che si respirava a Olbia e, immagino, altrove. Con l’aggravante che pure a urne chiuse e a risultato acquisito sembra prevalere il fastidio per chi non ha votato “nel modo giusto”.
Mentre Roma e Torino decidono di non farsi condizionare dalla paura della novità, Olbia imita Benevento (vedi la resurrezione di Mastella) e si affida all’usato sicuro nella speranza di rivivere il periodo d’oro in cui c’erano soldi, parecchi, da spendere e non esistevano patti di stabilità. Ma va detto che anche il Settimo Nizzi di oggi sembra essere diverso dall’uomo solo al comando non privo di arroganza e protervia che tutti ricordano ai tempi del decennio che lo ha visto dominare la scena politica cittadina. Se, come sostiene, Nizzi intende essere il sindaco di tutti è auspicabile che prenda le distanze da una certa parte dei suoi alleati. Gente che, a dispetto dello zerovirgola raccolto alle urne, continua a distinguersi per l’istigazione all’odio razziale in una città da sempre multietnica e nonostante le liste elettorali del neo sindaco abbiano ospitato candidati di varia etnia. Stiamo a vedere che succede.
Comunque sia, per Olbia non è ancora tempo di cambiamenti radicali ma sono certo che nelle sedi sempre più vuote e tristi dei partiti locali qualcuno cominci a sentire sul serio puzza di bruciato.
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