Così abbiamo sdoganato Lucio Battisti. Era l’ultima icona del secolo scorso a rimanere fuori dalle nuove tecnologie. Era arrivato alla soglia del CD ma le sue canzoni non erano andate oltre. Niente streaming, YouTube. Nulla. Problemi testamentari bloccavano la sua originalissima musica e bloccavano anche le parole di Mogol. Il 29 settembre (proprio come il titolo di uno dei loro più importanti successi) è accaduto il miracolo: Lucio Battisti e tutti i suoi album scritti insieme a Mogol sono apparsi, come d’incanto, sulle piattaforme musicali più importanti: Apple music e Spotify su tutte. Moltissimi hanno approfittato per scaricare quella musica nascosta. L’ho fatto anche io, nonostante abbia a casa, gelosamente conservati quasi tutti gli LP e tutti i CD del due Battisti-Mogol. E adesso? Come si comporterà il mercato occupato dai geni da tastiera, da produttori di video, da costruttori di canzoni rap, con frasi strascicate e complicate da imparare a memoria? Che faranno i nostri nipoti (perché i figli, almeno loro, Battisti dovrebbero conoscerlo) continueranno a canticchiare “dimmi dove, quando, stasera non arrivo in ritardo” oppure proveranno a servirsi di pochi e piccoli accordi per strimpellare a qualche ragazza: “le bionde trecce, gli occhi azzurri e poi?” Chissà, lo scopriremo solo vivendo come dicevano, appunto, Mogol e Battisti. Però questo rappresenta un bel rientro. Molti di noi si riapproprieranno delle antiche melodie: “io lavoro e penso a te”; “come può uno scoglio arginare il mare”, i giovani proveranno a capire quel piccolo genio di Battisti che con ritornelli sfasati, con musiche modificate, con chitarre e sussurri provava a raccontare una generazione. Che non è cambiata. Perché, diamocelo francamente tra “quando torno non voglio un minuto di stress, penso solo a star bene, tu sei peggio di me” (mambo salentino, dei BoomDaBash e Alessandra Amoroso) e “i giardini di marzo si vestono di nuovi colori e le giovani donne in quel mese vivono nuovi amori” anche i nostri nipoti sceglierebbero Battisti. E male non farebbero.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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