Forse è meglio se non vai avanti e mi mandi subito affanculo, perché sto per dirti che su quel bambino oltre alla terra pesa anche un cumulo di cazzate. Non parlo di ipocrisia, di lacrime spremute, di esercitazioni psicosociologiche e altra roba che in fondo ha una sua nobiltà: dico proprio cazzate. Ne ho avuto la percezione fortissima quando, ultimo della fila perché era già notte, ti ho visto spiegare perché quella foto la facciamo vedere o perché quella foto non la facciamo vedere. E mi sono chiesto, caro collega che magari non esisti, che ieri notte ho soltanto sognato, se tu sia mai uscito da quello studio per motivi che non fossero quello di leccare il culo a qualcuno a Montecitorio o, peggio, a farti mandare a quel paese mentre tendi implorante il microfono a certi coglioni che entrano nel Palazzo e i soldati sono anche costretti a fargli il saluto. Non so quale sia la risposta, ma se i bambini morti li hai visti soltanto in fotografia, senti a me, come si dice con ardita grammatica dalle nostre parti, lascia perdere. Sai, ai cronisti viene il pelo sullo stomaco perché altrimenti è meglio che cambino mestiere. Ma ci sono due cose a cui non fanno riparo neppure le setole di un cinghiale: la sofferenza sul viso di un bambino, vivo o morto che sia, e la gente in galera. Sarà perché un bambino che soffre e un uomo prigioniero sono quanto di più inumano si possa concepire. Ora non voglio fare come quell’androide famoso, ma io ne ho visto cose che voi, come dire, ecco, “sedentari”, non potreste immaginarvi. Di bambini morti, a esempio, ne ho visti in carne e ossa e ne ho anche fotografati. E ho sofferto come un porco scannato. E come ciascuno dei miei miliardi di colleghi che si sono trovati nelle stesse situazioni, non ho rotto i coglioni a nessuno. Non l’ho fatto per discutere se quelle foto potessero servire a creare un’iconografica emozione sul problema dei maniaci sessuali assassini di bambini, o sugli incidenti stradali, o sui padri che si ammazzano con il gas insieme alla figlioletta, o sui bambini che muoiono di stenti (gli esempi sono relativi a esperienze dirette). E non l’ho fatto neppure per dissertare se la foto andava o no sul giornale: bastava il buon senso e nessuno dopo la scelta, condivisa in rapide discussione con i superiori della gerarchia, ha chiamato quelli del Pulitzer per dirgli “guarda che ci sono anch’io”. Se io questa foto l’avrei pubblicata? E perché no? Era una foto tragicamente bella, non offendeva una normale sensibilità e provocava turbamenti nella direzione giusta. Non c’erano impietose esibizioni, raccapriccianti particolari. Giusto quello dici: è una delle icone di questo momento della storia. Ma, caro collega che ho soltanto sognato, non dirmelo con la faccia di uno che sta scoprendo non so che cosa. E soprattutto non mi dire che servono le icone per capire la storia o per fare ragionare la gente, perché se fosse così saremmo davvero messi male. Ce ne sono di foto crude che simboleggiano un pezzo di storia, con o senza bambini. Penso alla nuvoletta rossa di Dallas schizzata dal cranio fracassato di Kennedy, o al bambino ebreo con le mani alzate e il nazista con il mitra, o ai bimbi vietnamiti che fuggivano con i corpi nudi martoriati dal napalm degli americani; ma penso anche ad altre emozioni iconografiche quale il pugno sollevato delle Pantere Nere alle Olimpiadi messicane del ’68, o al cadavere del Che, o ad Allende con mitra ed elmetto pochi minuti prima di morire, o alla magnifica foto delle prime nozze di una coppia omosessuale a New York: due donne anziane, una delle quale in sedia a rotelle, che si guardano con occhi pieni di amore dopo una vita di chissà quante persecuzioni. E abbiamo proprio bisogno di quelle foto per capire la storia? Una mano, forse, ce la possono dare e le emozioni non fanno mai male. Ma, caro collega (che non esisti se non nei miei incubi, perché noi giornalisti siamo tutti brava gente), non contare su quel bambino morto per farci capire che cosa sta accadendo in questi giorni. Ricordati, chi capisce le cose soltanto con le sensazioni forti ed elementari, a pugni in testa, è altrettanto sensibile alle emozioni che vanno in segno opposto. E gente come Salvini, stanne certo, in fatto di sensazioni forti ed elementari sarà sempre più in gamba di noi.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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