Del 25 aprile resta il sorriso antico di mia madre che canta, quasi a squarciagola, Bella ciao. Resta la fotografia di un mio lontano parente con in mano una bandiera italiana, gli occhi verso il cielo e le mani strette al bastone, vessillo di una libertà ritrovata. Resta la lezione di storia del mio professore delle scuole medie che ci racconta le atrocità di tutte le guerre, ci disegna le cattiverie dell’olocausto e l’amore dei partigiani per la patria concludendo, tra le lacrime sue e di tutti, con un bellissimo: “Questo è, mì”. Resta il capolavoro di Primo Levi nella mia stralunata libreria adolescenziale e quel mio innamoramento per le parole e la rabbia di un uomo deriso dalle atrocità. Resta il bacio di Carlotta, compagna “pasionaria” di un gruppo bellissimo e appartenente ad un passato ormai lontano. Le sue mani, la sua bocca e la sua canzone “Alice” dove Cesare, come me, si perde nella nebbia per il suo amore ballerina. Del 25 aprile resta la consapevolezza di essere cresciuto tra valori forti, seri, intonsi. Provengo da una famiglia di contadini e di operai, provengo da una stirpe di sardi attaccati alla terra che guarda con malcelata curiosità il mare. Una famiglia con lo sguardo rivolto sempre verso il nuovo e con la voglia di ricominciare. Del 25 aprile resta il film Novecento di Bernardo Bertolucci, quella sua splendida pennellata verso una generazione che ha lottato e ha voluto – fortemente e con perspicacia – che questo paese potesse rinascere dalle ceneri dell’odio e della guerra. Restano i governi Berlusconi che non hanno voluto festeggiare la festa di tutti e per tutti. Resta anche, buon ultimo, il vice presidente del Consiglio Salvini che decide di passare una giornata a Corleone per combattere le mafia, come se ci fosse solo il 25 aprile per poterlo e doverlo fare. Come se il 2 giugno, anziché ricordare la bellezza e la grandezza della Repubblica ce ne andassimo in un paese nordico per pubblicizzare le nostre spiagge. Del 25 aprile resta, incisa nella storia, la frase di Vittorio Foa rivolta al senatore missino Pisanò: “Se aveste vinto voi, io adesso sarei in galera; siccome abbiamo vinto noi, lei è qui, in Parlamento, e può dire ciò che vuole”. Del 25 aprile resta la gioia di poter scrivere questi sporadici ricordi e la consapevolezza che chiunque può non essere d’accordo. Tutto questo, ricordatelo, grazie al sacrificio dei partigiani, degli italiani che morirono per difendere il proprio paese e regalarci ciò che con il fascismo non c’era: la libertà di esprimerci e di autodeterminarci. Questo, e solo questo, è per me il 25 aprile: una grandissima lezione di amore e libertà.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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