Ha paura Venezia perché a Carnevale si mascherano tutti. Ha paura Bologna perché ci gioca l’Italia contro la Romania. Ha paura Roma perché sta per partire il Giubileo. Ha paura l’Italia intera perché ovunque ci sarebbe qualcosa da colpire. Anche Sassari, se intendiamo ragionare su questo piano, dovrebbe aver paura.
Proprio a Sassari, infatti, ii 17 dicembre prossimo, si apre il processo contro la “cellula” sarda di Al Qaeda, un gruppo di pakistani capeggiati dal titolare di un bazar nel centro di Olbia, tutti finiti in galera con l’accusa di aver organizzato l’attentato che, nel 2009 uccise un centinaio di persone a Peshawar e di preparare altri massacri nel nostro Paese. Tra i bersagli, anche il Vaticano. Se riporto indietro l’orologio ricordo che, alla notizia dell’arresto, diversi olbiesi che frequentavano il bazar e ne conoscevano il proprietario reagirono alla notizia con una punta di sconcerto. “Eppure sembrava una persona per bene, sempre gentile e disponibile”. Ad alcuni, insomma, la notizia sembrò inverosimile.
Certo, le reazioni andarono perlopiù in altre direzioni. Molti colsero l’occasione per puntare il dito contro la comunità islamica e sfoderare il classico “lo sapevo, io”; altri ancora cominciarono a guardare con diffidenza crescente tutte le barbe incolte e gli immigrati di varia nazionalità che incrociavano sul loro cammino. Per qualche giorno Olbia si interrogò, poi riprese a fare le solite cose di sempre.
Eppure vale la pensa soffermarsi su un dettaglio che non mi pare insignificante. Olbia non ha il ghetto di Molenbeek né le banlieue da cui persino le auto della polizia si tengono alla larga. Olbia non ha periferie addolorate nelle quali la rabbia trovi i giusti fermenti per plasmare assassini e terroristi. Qui le varie comunità portano avanti attività commerciali e le periferie altro non sono che noiosi agglomerati urbanistici tutto sommato tranquilli. Si fa fatica, davvero, a pensare che questa città possa aver tenuto in seno per anni una centrale terroristica di primo livello. Che proprio qui sia stato organizzato l’attacco al mercato di Peshawar, che nel bazar di via Acquedotto si discutesse di come insanguinare piazza San Pietro. Che l’odio contro di noi e i nostri simboli ci scorresse davanti, mascherato e ben integrato, come il peggiore dei nemici, quello che non riconosci, che ti cammina accanto e ti saluta con il sorriso.
Per ora, l’inchiesta guidata dalla procura di Cagliari e dalla polizia di Stato ha superato gli ostacoli, compreso il Tribunale del Riesame. E il Gip ha disposto per tutti gli indagati il giudizio immediato, segno che le prove addotte devono avere una certa consistenza. Staremo a vedere.
Inanto, occorrerà domandarci quale sia il tasso di infiltrazione dei potenziali kamikaze in Italia. Se una piccola città come Olbia ha davvero tenuto la serpe in seno per anni senza mai sospettare alcunché, è facile intuire cosa potrebbe nascondersi in realtà ben più grandi e complesse. Bologna, Venezia, Roma lanciano l’allarme dopo i fatti di Parigi. Penso che, in fondo, le probabilità che capiti qualcosa in Italia non siano aumentate per ciò che è successo il 13 novembre nella capitale francese. E’ solo cambiata la percezione di un pericolo presente già da tempo, con il quale conviviamo, anche se spesso non ne siamo consapevoli.
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