Cosa fa un governo autocrate, dittatoriale, militarista, quando il paese è in crisi economica e la gente protesta?
Scatena una guerra, ovviamente. Non che non lo abbiano fatto anche degli stati democratici, di scatenare una guerra per ragioni interne; ma diciamo che è tipico delle dittature spostare demagogicamente l’attenzione dalle difficoltà interne al nazionalismo guerrafondaio.
Una perdurante crisi economica con un’inflazione inarrestabile devastava l’Argentina degli anni ‘70 e dei primi anni ‘80, in uno dei periodi più tragici del paese. Migliaia di oppositori politici, infatti, erano stati uccisi, altri erano stati dichiarati dispersi, “desaparecidos”, a causa di un vero e proprio terrorismo di Stato.
Così, esattamente 40 anni fa, il governo argentino cosiddetto “dei generali”, con a capo il Generale Gualtieri, terzo di una generazione di dittatori di cui l’ineffabile Videla era stato il capostipite, occupò le isole Falkland, politicamente appartenenti al Regno Unito, che tornarono ad avere il loro originario nome di Isole Malvinas, e la guida automobilistica a destra.
Un gruppo di fredde isolette pescose ed estese, nel loro insieme, come mezza Sardegna, con poche migliaia di abitanti di origine scozzese, con una certa valenza strategica per la loro posizione, a poche centinaia di chilometri dalle coste sudamericane e, pare, con degli importanti giacimenti petroliferi nelle vicinanze.
I generali argentini, convinti, se non proprio dell’appoggio, almeno della neutralità degli “amici” americani, speranzosi di un superamento delle politiche coloniali degli inglesi, peraltro impantanati nelle tragiche vicende con l’Irlanda del Nord, avevano incautamente previsto un facile successo dell’operazione militare.
Fu invece un’occupazione di breve durata, perché poche settimane dopo, la flotta navale di Sua Maestà la Regina, era già in viaggio nell’Atlantico. A nulla valsero le trattative diplomatiche e le risoluzioni dell’ONU che condannarono il gesto argentino. Nel conclave dell’ONU, infatti, si resero conto che era troppo rischioso rimettere in discussione appartenenze e confini, rischiando ogni volta conflitti e guerre, anche se le Isole Malvinas erano un residuo del colonialismo inglese e geograficamente appartenenti all’Argentina.
Il 2 aprile del 1982 si scatenò una guerra che pareva surreale, in un’epoca in cui, ancora, i ricordi della Seconda Guerra Mondiale erano ben presenti e si viveva nel terrore di una tragica spirale atomica, in piena Guerra Fredda.
Gli Stati Uniti si trovarono in grande imbarazzo a scegliere da che parte stare, per via dell’appoggio che negli anni avevano fornito alle varie dittature argentine, con tanto di trattati di alleanze economiche e militari, e in particolare per i favoritismi dati al capo del governo di Buenos Aires.
Gualtieri infatti, formato nelle scuole militari americane, era visto come prezioso baluardo al comunismo nel Sudamerica; ricordiamo che erano gli anni seguenti l’insediamento, fortemente voluto dagli USA, del feroce dittatore Pinochet in Cile.
Alla fine gli Stati Uniti decisero di appoggiare il Regno Unito, che faceva parte della NATO. Anche l’Unione Europea, a maggioranza, appoggiò la missione bellica dei britannici, con le ovvie eccezioni dell’Irlanda, per ragioni di rivalità storiche, e dell’Italia, per gli evidenti legami culturali con l’Argentina.
Cosa fa una potenza imperialista quando qualcosa minaccia i suoi interessi geopolitici? Si muove per la guerra, su questo non c’è dubbio.
E anche se il Regno Unito non era certo più l’impero che fino al XIX secolo dominava il mondo, era pur sempre ancora una potenza militare. All’epoca il governo britannico era guidato dalla “Lady di Ferro”, Margaret Thatcher. Va detto che anche la Thatcher, alle prese con riforme sociali da lacrime e sangue, aveva necessità di rinforzare la sua immagine all’interno del paese, favorevole in gran parte a riprendersi con la forza le isolette ingiustamente sottratte, in nome della Regina.
Grande risalto, peraltro, fu dato alla presenza come militare imbarcato nella flotta britannica del giovane Principe Andrew, secondogenito della Regina, seguito come un’ombra da uno stuolo di giornalisti.
Le forze inglesi erano nettamente superiori a quelle argentine, sia come quantità che come qualità delle unità, degli equipaggiamenti e dei mezzi. Fu una guerra vera, combattuta con molto impegno da ambo le parti. Alla fine prevalsero i britannici, Dio salvi la Regina, per la gioia della Lady di Ferro. Affondarono molte navi ed aerei da entrambe le parti, con centinaia di soldati morti (255 britannici, 649 argentini). Pochissimi i civili caduti, contati nelle dita di una mano.
Fu una guerra, per quanto tragica e surreale, condotta senza spargimento di sangue inutile. Certo, la geografia favoriva uno scontro esclusivamente militare. Tuttavia vi furono episodi che fanno pensare che nessuna delle parti in causa voleva trascendere i limiti di un conflitto esclusivamente militare. Gli aerei argentini, forse unico comparto militare in grado di creare problemi alla potente marineria inglese, si guardò bene dal bombardare le navi ospedale e le navi civili di appoggio dei nemici.
Fu una guerra atipica, quella delle Falkland, forse perché unica nel suo genere. Infatti non capitava dalla seconda Guerra Mondiale che due grandi nazioni occidentali si scontrassero tra di loro. Una guerra, appunto, diversa da tutte quelle che il mondo aveva visto prima, con la lunga guerra del Vietnam combattuta dagli americani, fino alla guerra di questi giorni in Ucraina, passando per tutte le altre guerre, tra cui quella assurda in Iraq, con centinaia di migliaia di morti civili.
Ma il confronto con la guerra in Ucraina che stiamo vivendo con angoscia in questi giorni salta agli occhi anche per una caratteristica, che è nello stesso tempo analogia e differenza.
La Russia di Putin, infatti, incarna da sola entrambe le motivazioni dei due contendenti dell’epoca: un dittatore che scatena una guerra per le ragioni che sono costitutive di una dittatura, e una potenza imperialista che difende i propri interessi strategici.
La guerra delle Falkland, nella sua tragicità, ebbe in confronto un lieto fine, se così si può dire. Non certo per quei poveri soldati morti e per le loro famiglie. Ma servì comunque a dare una spallata definitiva alle feroci giunte dei militari argentini. Infatti pochi giorni dopo la fine della guerra Gualtieri rassegnò le dimissioni, furono indette libere elezioni, e nessun colpo di Stato disastrò più quel paese così ricco di cultura e di bellezza, per quanto, negli anni a venire, si ritrovò ad affrontare grandi difficoltà. Ma sempre all’interno di un sistema democratico e con libere elezioni.
Per i tremila abitanti delle Falkland, che fino ad allora parevano abbandonati al freddo e alla solitudine, al punto, si dice, che manco gli inglesi sapevano della loro esistenza, la graziosa Corona concederà, finalmente, nel 1983, il pieno status di cittadini britannici.
La Lady di Ferro, ovviamente, stravincerà le successive elezioni, acclamata dal popolo britannico finalmente riportato agli antichi splendori bellici, meglio predisposto ad accogliere, così, le riforme sociali, i licenziamenti, e i tagli alla spesa pubblica che si prospettavano nell’era del nascente cosiddetto “neoliberismo”.
Attivo
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo. Il suo ultimo libro è invece un romanzo a sfondo neuroscientifico, "La notte in fondo al mare".
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