In principio era estate. Era il 30 luglio del 1990 e lui per cognome faceva Amato, quello che ora vogliono che faccia colazione “al Colle”. In principio si voleva “razionalizzare” il sistema del credito, per lo più a carattere pubblico. Con la sua legge sulle privatizzazioni delle banche di interesse nazionale (la Banca Commerciale Italiana, il Credito Italiano e il Banco di Roma) e la trasformazione degli Istituti di Credito di diritto pubblico (Banco di Napoli, Monte dei Paschi di Siena, Istituto Bancario San Paolo di Torino, Banco di Sicilia, Banco di Sardegna, Banca Nazionale del Lavoro) in Giano bifronte (società per azioni e fondazioni), cambiò molto di ciò che aveva a che fare con la “pecunia, la grana, la pilla, gli sghei, su dinai”.
Poi arrivò Draghi, quello che oggi si vede in tivvvvù a raccontare quanto sarà brava la BCE di cui è fiero condottiero, a portare fuori il culo dell’Italia dalla fredda palude della crisi. La sua idea, che si fece legge, sembra banale faccenda idraulica: TUB. Invece significa Testo Unico Bancario, e fu lo svilimento dell’articolo quarantasette della Costituzione, quello che incoraggia lo Stato ad incoraggiare la Banca a raccogliere il risparmio ed erogare il credito. E invece le famiglie e le imprese, da quel momento, incominciarono ad avere seri problemi perché da quel momento sparì la distinzione tra Banca d’investimento e Banca Retail, quella che guarda alle famiglie e alle imprese. La prima si mangiò la seconda e tutto diventò BANCA UNIVERSALE, modo grazioso per nascondere che mission e attività bancaria, da quel momento, furono decisamente indirizzati alla speculazione.
Poi, dall’America arrivò la crisi perché le Banche Universali, che lì si chiamano Corporate, ci avevano giocato troppo al gioco della speculazione, infilando in tasca a Stati, Imprese, Cittadini, qualcosa che aveva la sostanza della cacca ma che veniva avvolta da luccicante carta con nomi seduttivi: “future”. E la cacca era molta, troppa, e qualcuno ci annegò in quella cacca, quasi subito. Ma tanti, troppi, ci annegarono dopo – e lentamente – per qualcosa che ha un nome rimanda alla dieta e ai crackers, “credit crunch”, e invece non è altro che lo scioglimento nell’acido di ciò che regge tutto il gioco del credito: la fiducia.
Le banche non si fidano delle altre banche, le banche non si fidano degli impresari, dei privati, i privati non si fidano delle banche e degli Stati, gli imprenditori non si fidano né delle banche, né degli Stati, né di se stessi. E i soldi non girano più come dovrebbero girare normalmente quando la fiducia alberga tra di noi, dentro noi. Ché la fiducia può essere come Lucifero, un po’ angelo un po’ demonio… E la paura, nel sistema del credito, è Lucifero che cade all’inferno.
E nonostante quella notissima Centrale di Bolscevichi che è la Banca d’Italia ci ricordi ogni tre mesi che il sistema della privatizzazione italiana abbia sì creato una concentrazione bancaria capace di competere con le altre banche del mondo, ma anche un sistema che non è più capace di garantire un adeguato flusso di credito alle famiglie e alle imprese, che le grandi banche a organizzazione centralizzata sono troppo distanti dal territorio, che le piccole banche, e soprattutto quelle a titolo cooperativistico, siano più adeguate a dialogare con un tessuto produttivo italiano fatto per lo più di piccolissime e piccole imprese.. nonostante tutto ciò sia ormai chiaro a tutti quelli che hanno letto almeno Il Sole24ore una sola volta nella loro vita… nonostante ciò, quello strano personaggio che nessun elettore ha scelto come Presidente del Consiglio, ha dato – PER DECRETO !!! – solo 18 mesi di tempo alle Banche Popolari per superare il voto capitario e trasformarsi in società per azioni.
Ancora una volta, ovviamente, per garantire “una maggiore razionalizzazione” del sistema e un’altra esclusiva puntata da Daria Bignardi, dove si potrà raccontare la favola di ciò che sono capaci di fare le aggregazioni di banche medio-piccole in banche più grandi: riaprire i rubinetti del credito per le piccole e medie imprese e per le famiglie.
Fino ad ora, in assemblea per le popolari vigeva il principio “una testa un voto”, per il quale ogni socio ha lo stesso peso indipendentemente dalla quota di capitale azionario detenuta. Ora non più: almeno le popolari con attivi sopra gli 8 miliardi (10 banche: Banco Popolare, Ubi, Bper, Bpm, Popolare di Vicenza, Veneto Banca, Popolare di Sondrio, Creval, Popolare dell’Etruria e Popolare di Bari) devono cambiare pelle e smetterla con questa “stronzata” della corporale governance e del nanismo…
Ma la storia delle fusioni bancarie non conta, ovviamente. Quella storia delle fusioni, quella che insegna che nell’attività bancaria le economie di scala sono assai difficili da conseguire e che al crescere delle dimensioni i costi unitari non scendono necessariamente; quella storia delle fusioni, dove in gioco ci sono le culture organizzative di due strutture diverse, a volte incompatibili..Non conta la storia dell’Antonveneta, non conta la storia dell’acquisizione di Abn Amro da parte di Royal Bank of Scotland, la storia dei vari salvataggi operati con i danari di tutti noi. Too big to fail.. eja, certo, con il culo degli altri però…
E allora trasformiamo anche queste realtà maggiormente capaci di ascoltare e dialogare con le famiglie italiane e le piccole e medie imprese in società per azioni, futuri gustosi frutti per i fondi di private equity stranieri e la loro fame speculativa. Così qualcuno avrà modo di raccontare nei tolcsciò, quanto è bello cambiare, quanto è bello riformare, quanto è bella giovinezza che si fugge tuttavia! Chi vuol esser lieto, sia. Che del doman c’è assoluta certezza e il suo nome fa sventura.
In questa categoria sono riuniti una serie di autori che, pur non facendo parte della redazione di Sardegna blogger collaborano, inviandoci i loro pezzi, che trovate sia sotto questa voce che sotto le altre categorie. I contributi sono molti e tutti selezionati dalla redazione e gli autori sono tutti molto, ma molto bravi.
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