Preciso subito, a scanso di equivoci: Berlusconi non mi è stato mai simpatico e ha rappresentato tutto ciò che è più lontano dalla mia etica e dai miei ideali. Il suo modo di fare, la sua strafottenza, il suo voler raccontare a tutti i costi le storielle, le donne, le bionde, le olgettine, il bunga bunga; quei suoi silenzi alle domande su dove provenissero i primi soldi per cominciare a mordere la finanza e far girare l’economia. Tutto molto lontano. Da quando si occupò di far appendere i limoni nei viali di Genova prima della mattanza del G8, quel suo sguardo livido nei confronti di un potere sbagliato: quello di Gheddafi e quello di Putin. Berlusconi era convinto che tutto si potesse acquistare nel mercato delle opportunità. Lo fece con le donne – e, purtroppo, in molti casi ci riuscì – lo fece con i parlamentari, in una sorta di campagna acquisti da calcio mercato. Non aveva preclusioni ideologiche: era un uomo pragmatico, abituato a disegnare alberi e laghetti e per farlo capire a tutti ci metteva vicino un cartello. Sapeva unire i puntini che lo portarono all’impunità. La giustizia non lo ha perseguitato. Semmai è stato lui a farlo, a nascondersi, a sottrarsi e, durante l’affidamento in prova al servizio sociale, a fare di quella rieducazione uno show. Voleva essere martire, santo, uomo di Stato. Non lo è stato perché non poteva esserlo. Adesso si chiude la saracinesca della vita terrena l’unica frase che mi viene in mente appartiene a Fabrizio De Andrè: “quando si muore si muore soli”. Berlusconi compreso.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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