Nel mio cognome–Bolognesi, appunto–mi porto appresso una parte della storia dimenticata–o negata?–della Sardegna.
La Sardegna è stata fino agli anni Sessanta terra di immigrazione, non di emigrazione.
Mio padre era uno di quegli immigrati ferraresi arrivati a Fertilia per coltivarne le terre bonificate.
Era il 1936 e tutta la famiglia di mio nonno, meno i due figli maggiori, è emigrata per cercare un futuro migliore in Sardegna.
A Fertilia si è ripetuto, su scala minore, l’esperimento di Arborea.
Altre zone di immigrazione erano Iglesias e poi, su scala ancora maggiore, Carbonia.
Occorreva mano d’opera per le miniere.
In Sardegna l’immigrazione e la colonizzazione, se si eccettuano le enclave tabarchine e algherese, non hanno mai raggiunto grandi proporzioni, come riconosciuto già da Le Lannou.
Un discorso a parte meritano Sassari e la Gallura, colonizzate da immigrati corsi in periodi diversi: Sassari dopo le pulizie etniche seguite alla perdita dell’indipendenza e la Gallura, perché in gran parte spopolata.
Anche se in proporzioni modeste, queste immigrazioni testimoniano di una situazione in cui la sottopopolata Sardegna è meta di immigrazione.
I Sardi non emigravano–perché avrebbero dovuto?–da un’isola, appunto, sottopolata.
Fra le pochissime eccezioni–moralisticamente condannate da Sebastiano Satta: Sebastiano eh!–il fratello del mio nonno materno, che ha fondato il ramo argentino dei Tilocca, emigrato nel 1913.
Mentre milioni di Veneti, Piemontesi, Siciliani e altri abitanti dello stato italiano emigravano verso le Americhe, a cavallo tra Ottocento e Novecento, i Sardi se ne restavano nella loro terra.
Erano gli altri a venire da noi, come mio padre e la sua famiglia.
Tutto cambia nel periodo che va dalla fine degli anni Cinquanta alla fine degli anni Sessanta.
Ottocentomila sardi emigrano verso il Nord Italia e l’Europa del centro Nord.
Le industrie del Nord Italia e dell’Europa hanno bisogno di manodopera.
Come ne avevano bisogno le Americhe nei decenni precedenti.
Ma questa volta i sardi partono.
Parte un terzo dei sardi.
Un terzo.
La Sardegna, grazie all’altissimo tasso di natalità del dopoguerra e alla diminuita mortalità infantile, seguita anche alla sconfitta della malaria, stava arrivando ad avere una popolazione più adeguata alla sua superficie e alle sue potenzialità, ma in dieci anni ne perde un terzo.
Cosa è cambiato rispetto ai decenni precedenti?
Con i mass media erano arrivati anche in Sardegna modelli di vita consumistici, che richiedevano denaro contante per essere seguiti e nella Sardegna degli anni Cinquanta denaro ne circolava ancora poco.
Chi voleva le cose promesse dalla televisione doveva andare là, dove si guadagnavano i soldi.
Emigrare diventa improvvisamente una cosa ovvia, talmente ovvia che quasi nessuno si chiede come mai il “miracolo economico” di quegli anni non abbia interessato la Sardegna.
E rispetto a questo rimando a tutti gli studi già effettuati sul fallimento della “Rinascita”.
Ma negli stessi anni in cui si insediavano le “cattedrali nel deserto”, in quel deserto che veniva creato dall’emigrazione di un terzo dei sardi si insediavano anche le servitù militari: il 60% del totale dello stato.
L’emigrazione di un terzo dei sardi–considerata scandalosa solo pochi decenni prima–ha avuto chiaramente due funzioni: rifornire di manodopera le industrie del Nord Italia e svuotare enormi zone della Sardegna per permettere le esercitazioni delle forze armate della Nato.
Insomma, lo spopolamento della Sardegna–e studi sociologici hanno dimostrato che, oltretutto, sono i più intraprendenti, i più dinamici, a emigrare–è servita a tanta gente al di fuori della Sardegna.
Coincidenze?
Negli stessi anni in cui la Sardegna si spopolava, si verificava anche l’attacco massiccio all’identità sarda: erano anche gli anni dei sequestri di persona e qualsiasi fatto di sangue avvenisse in Sardegna veniva amplificato dai media italiani.
A parte il Cagliari di Gigi Riva, la Sardegna finiva sui media soltanto per il banditismo.
A sentire i giornali italiani e la TV di quegli anni, la criminalità sarda sarebbe stata una minaccia per tutto lo stato, mentre, a parte alcuni casi di sardi emigrati, la criminalità isolana è sempre stato un fenomeno limitato alla Sardegna stessa e rivolto soprattutto contro i sardi stessi.
In quegli anni, allora, si verificano tre fenomeni contemporaneamente: la massiccia emigrazione, l’occupazione militare, l’attacco mediatico contro i sardi.
Gli italiani almeno alcune cose le hanno ammesse: il rapporto tra il fallimentare insediamento delle cattedrali nel deserto e la guerra alla “cultura che produceva il banditismo”.
Risultato: i sardi hanno abbandonato in massa la loro lingua e hanno cominciato a usare l’italiano scarciofato di Sardegna anche all’interno della famiglia.
Situazione attuale: la Sardegna detiene stabilmente le posizioni più alte nella classifica europea della dispersione scolastica.
Un quarto dei giovani sardi abbandona la scuola senza aver conseguito un diploma.
Conseguenza: “Il tasso di disoccupazione per questa fascia d’età–giovani tra i 15 e i 24 anni–è giunto al 54%, il che però non significa che sono senza lavoro la metà dei giovani, ma la metà di coloro che partecipa al mercato del lavoro (occupati e disoccupati). Gli studenti non si considerano disoccupati.” (http://www.unionesarda.it/articolo/politica_italiana/2014/02/28/istat_disoccupazione_mai_cos_alta_dal_77_a_gennaio_il_tasso_balzato_al_12_9_per_cento-1-356511.html)
Disoccupazione in Sardegna: “In Sardegna il tasso cresce di due punti a quota 17,5%.”
Dalla Sardegna si continua a emigrare, anche adesso che i sardi si vergognano molto meno di essere quello che sono.
Fin qui, un problema ormai familiare, al quale i sardi si sono abituati.
Ma nel mentre ne sta montando un altro: quello dei disoccupati senza arte né parte, che non possono nemmeno emigrare, visto che a fare i lavori non qualificati ci sono già tanti disperati da tutto il mondo, spesso perfino laureati: globalizzazione, la chiamano.
Di cosa vivranno questi giovani, quando anche i loro genitori moriranno e non riceveranno più la loro pensione?
Sarà la volta buona che introdurranno l’eutanasia anche in Italia?
Quante cose sono cambiate da quando la Sardegna era terra di immigrazione, modesta, ma immigrazione.
Queste cose hanno un nome: “italianizzazione”.
La Sardegna è stata stravolta per perseguire gli interessi italiani.
Senza un rinnovamento radicale della classe dirigente sardignola–italiana di serie C–italofona, italocentrica, il futuro della Sardegna è segnato: spopolamento ulteriore per lasciare spazio alla produzione di energia, alle scorie nucleari, ai giochi di guerra dei generali.
Vedete voi: io sono emigrato da trenta anni.
In questa categoria sono riuniti una serie di autori che, pur non facendo parte della redazione di Sardegna blogger collaborano, inviandoci i loro pezzi, che trovate sia sotto questa voce che sotto le altre categorie. I contributi sono molti e tutti selezionati dalla redazione e gli autori sono tutti molto, ma molto bravi.
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