Quando vedo il quadro dei funerali di Togliatti mi commuovo. Non ho mai capito perché. Sarà il rosso delle bandiere, quello stare uniti tutti insieme, chissà. Di scioperi ne ho fatti parecchi, da piccolo. Alcuni decisamente “forzati” da studente che protestava per ottenere l’apertura dei termosifoni d’inverno, altri per stare vicino agli operai. Gli operai. Quel colore denso, gli occhi scavati e il sorriso regalato solo ai figli. Perché gli operai, una volta c’erano. Avevano le tute color blu e l’ideale che li faceva sentire uniti ed invincibili. Io, dentro quegli scioperi, da sedicenne, conobbi i lavoratori della Sir di Porto Torres che parlavano di lotta di classe, ci chiamavano compagni studenti e se la prendevano con il padrone. Già. Perché, a quei tempi non c’era la figura dell’imprenditore, solo quella del padrone. Era un mondo tagliato con l’accetta quello degli anni settanta. Eppure c’era la voglia di cambiare le cose con molta contrapposizione, certo, ma con la consapevolezza di valere qualcosa. Ecco perché, ancora oggi, si parla della Legge 300, dello statuto dei lavoratori, approvato il 20 maggio 1970. Una legge voluta con forza dai socialisti (quelli di Nenni e di Giugni) dai comunisti, ma anche dalla sinistra democristiana e dalle lotte sindacali, quando i sindacati tingevano le piazze di un rosso dolce e forte. Una volta c’erano gli operai e io amavo cantare a squarciagola canzoni un po’ stonate ma con un ritornello che mi faceva sempre emozionare. Altri tempi. Quando ci penso, in silenzio, mi commuovo.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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