Il giorno prima era ancora riuscito a fare lezione all’Università. La mattina del 27 marzo 1969, mentre si sottoponeva alla dialisi consueta, sua moglie Rina vide che soffriva più del normale -Cosa c’è? -E’ che faccio un po’ di fatica a respirare, ma non preoccuparti. E Antonio Pigliaru morì. Oggi sono trascorsi 49 anni. Siccome le celebrazioni si fanno a numeri tondi, spero che l’anno prossimo, il cinquantenario, questa nostra terra così diversa da allora ma ancora così inguaiata saprà celebrare il più grande intellettuale sardo del Novecento dopo Antonio Gramsci. Chissà, cinquant’anni sono un mucchio di tempo e certe cose ormai le nuove generazioni le sanno solo se le studiano bene a scuola. Se gli chiedi chi erano Enrico Berlinguer o Federico Fellini, pezzi della nostra vita, devono sbirciare nel libro. D’altro canto anche a me, a 18 anni, se mi chiedevano chi era Gramsci non è che lo sapessi perché l’avevo visto a Porta a Porta. Eppure era morto soltanto poco più di trent’anni prima. Commemorare Pigliaru? Non ho voglia adesso di stringere in dieci righe una persona immensa. Si può fare, non sarebbe un peccato. Ma ora voglio soltanto dire che ho pensato a lui l’altro giorno quando ho appreso che i vincitori delle ultime elezioni avevano scelto per la seconda carica dello Stato un personaggio noto per l’intolleranza verso chi ritiene “diverso” dalla sua idea di mondo. Personaggio scelto da tutti i vincitori, anche e soprattutto da quelli che nella bisaccia custodivano – penso immeritatamente – un bottino di voti che venivano dalla sinistra, che storicamente, con tutti i suoi peccati recenti e antichi, è pur sempre patria della tolleranza. E per certe scelte non esiste più la ragion politica, sono scelte di campo, non c’è da discutere. E quindi, quando è accaduto questo, ho avuto un confuso ricordo di uno scritto di Pigliaru e alla fine l’ho ritrovato. E’ il testo di una delle conversazioni della serie che tenne a Radio Sardegna nel 1966, raccolte nel 2005 a cura di Rina Pigliaru in un volume edito da Iniziative Culturali sotto il titolo “Le parole e le cose”. Scrive Guido Melis, nella prefazione: “… poi sentivi il timbro della sua voce: una voce speciale, dai toni caldi, pacata, molto interiore, con una cadenza gradevole che tradiva l’origine barbaricina, ma educata, colta”. Ho cercato di immaginare quella voce rileggendo questo brano dal titolo “Intransigenza e intolleranza”. “… qui basti aver battuto l’accento sulla non identità di intransigenza e intolleranza, e aver posto in rilievo il fatto che proprio essere insieme intransigenti (cioè fermi sui propri principi) e tolleranti (cioè rispettosi dell’altro) è appunto essere democratici nel costume; e quindi nell’aver rilevato che essere transigenti e insieme intolleranti è, al contrario, un assurdo oscillare in un atteggiamento unico tra i poli apparentemente opposti del qualunquismo e del fanatismo”.
La foto in alto è tratta da “Antonio Pigliaru”, di Mavanna Puliga – Ed. Ets
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
Renatino e i misteri di Roma (di Giampaolo Cassitta)
Elio e le storie disattese (di Francesco Giorgioni)
The show must go on (di Cosimo Filigheddu)
Vincerà Mengoni. Però… (di Giampaolo Cassitta)
Ero Giorgia, e ricanto. (di Giampaolo Cassitta)
Piacere, Madame. (di Giampaolo Cassitta)
Se son fiori spariranno (di Giampaolo Cassitta)
Ma Sanremo è Sanremo? (di Giampaolo Cassitta)
Pacifisti e pacifinti (di Simone Floris)
Lo specchietto (di Salvatore Basile)
Da San Gavino a San Cristoforo, quando colonizzammo il Villaggio Verde. Ovvero il trasloco (di Sergio Carta)
Se riesco a buscare 5000 Lire ci vediamo allo Zoom, ovvero le pomeridiane in discoteca degli anni’80. (di Sergio Carta)
Papa Fazio (di Cosimo Filigheddu)
sardegnablogger ©2014 created by XabyArt - graphic & web design