Scusate se parlo di Brexit senza parlare di Brexit, ma oggi secondo me la grande Storia non ha toccato tanto l’Uk e l’Europa quanto una signora vecchia quasi quanto l’Inghilterra e molto più vecchia dell’Europa: la carta stampata. Oggi i giornali sono usciti con la falsa notizia di una vittoria del sì all’Europa. Inutili le precisazioni negli occhielli dei titoli e i condizionali di maniera che rinviavano al “secondo i sondaggi”. Lo spirito delle pagine di carta e inchiostro era questo: lettori nostri, vi stiamo dando la notizia che ieri in Inghilterra ha vinto il remain. Con tanto di Cameron che ringrazia gli elettori e di Farage che ammette la sconfitta. E questa sconfitta dei giornali credo che abbia una dimensione storica. Parlo della storia della stampa, naturalmente. E’ colpa di qualcuno? Non certamente delle centinaia di giornalisti che ieri hanno fatto i giornali. Immagino lo sforzo di chiudere le pagine il più tardi possibile, di tenere qualche edizione aperta per dare i risultati più aderenti al vero. Ma è tutto inutile. Perché il giornale di carta e inchiostro è fatto così: a un certo punto la rotativa deve girare e fuori i furgoni scaldano il motore per distribuire le copie. E quando girano le rotative non c’è nulla da fare. C’è solo da pregare che quello che stampano sia tutto vero. Ieri notte non è stato così. Nella mia lunga vita professionale di incidenti del genere ne ho visti a migliaia, fanno parte della natura del giornale. Ma difficilmente di questa portata. E mai, comunque, in un momento di crisi così feroce per la carta stampata, quando la stessa utilità di questo strumento di informazione viene messa ingiustamente in crisi dal calo drastico delle copie vendute e dalla quantità e dal valore della pubblicità. Sono convinto nonostante tutto che “L’ultima copia del New York Times” sia ancora lontana nel tempo. Le parole tra virgolette sono il titolo di un bel saggio pubblicato alcuni anni da Vittorio Sabadin, il quale riprendeva una vecchia profezia di Arthur Sulzberger jr., l’editore del «New York Times», convinto che il suo giornale nel 2013 non sarebbe stato più in edicola. Al posto dell’edizione su carta, una testata internet. Non è andata così ma la tendenza è senz’altro quella. La gente ha ormai la possibilità di essere informata quando e come vuole, attraverso mille supporti tecnologici e in qualsiasi momento della giornata. Che senso ha attendere il giorno dopo per leggere notizie già vecchie in un giornale che per di più deve pagare? Sabadin nel libro spiegava che la stessa tecnologia che rende obsoleti i giornali offre loro gli strumenti per cambiare. E’ vero. Ma il problema è che bisogna rendersi conto che questo cambiamento è fondamentale. L’alternativa, come ha detto il più grosso editore del mondo, Rupert Murdoch, è quella di scomparire. E cambiare significa farlo soprattutto di mentalità, cambiare quella concezione di giornalismo e di giornale che c’è dentro la testa di noi vecchi giornalisti e purtroppo anche in quella di molti giovani colleghi. Che senso ha tenere le pagine aperte e la rotativa ferma per riversare all’ultimo momento le notizie che apprendiamo dalla tv e da internet, gli stessi strumenti dai quali le sta apprendendo la maggior parte dei lettori che pretendiamo che la mattina dopo comprino il giornale? Ricordo che già molti anni fa, quando i giornali non erano ancora in crisi e internet non era parte essenziale della nostra vita, ritenevo stupidi certi comportamenti. A esempio quello di attendere sino a notte con il giornale fermo e davanti alla tv il vincitore del Festival di Sanremo. E poi, una volta conosciuto il nome, lo si aggiungeva al pezzo e via alle rotative. Senza neppure il tempo di scrivere se la canzone era bella o brutta. E mi chiedevo che cosa stessimo dando al lettore che già non conoscesse per averlo visto insieme a noi giornalisti su Raiuno. Forse sarebbe stato meglio chiudere il giornale a un’ora decente, magari cominciando a lavorare prima la mattina, e uscire senza i nomi dei vincitori ma offrendo approfondimenti, spunti di riflessione, notizie inedite e mille altre cose che solo la carta stampata può offrire su questo appuntamento della canzone italiana e su miliardi di altri argomenti. E così sui giornali di oggi abbiamo assistito a questa straordinaria storia controfattuale del remain, del tipo se Napoleone avesse vinto a Waterloo o se Bruto e gli altri non fossero riusciti ad ammazzare Giulio Cesare. Che tra l’altro è un gioco che mi affascina. Io stesso lo gioco e non mi lascio sfuggire nessun libro appena decente del genere ucronico. Ma oggi leggere sui giornali di carta e inchiostro, con il loro odore di ricordi di una vita, che il “premier Cameron ringrazia gli elettori” e che “Farage ammette la sconfitta” mi ha dato tanta tristezza.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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