Nel 1992, all’Asinara ci fu una piccola rivoluzione dettata dalla riapertura della diramazione di Fornelli, chiusa ormai dal 1986, quando si intravvedeva la possibilità di pensare all’isola come un carcere “leggero”, in grado di convivere anche con l’idea del parco che a quei tempi stava ancora maturando. La morte di Falcone e Borsellino scombinò i piani e quando si ripensò alla sicurezza ecco che la decisione fu pressoché unanime: i mafiosi (seppure molti di essi erano semplicemente imputati) e sottoposti all’articolo 41 bis dovevano essere trasferiti nelle isole di Pianosa e dell’Asinara. La decisione maturò alla fine di luglio e riaprire una diramazione chiusa da tempo non era semplice. Si dovevano controllare le tubature, la potabilità dell’acqua, il ripristino delle docce, la ricerca delle chiavi, i telefoni, il fax, le radio trasmittenti e gli arredamenti. All’Asinara, a quei tempi, c’era un elettricista “fai da te”, una sorta di ladro truffatore, condannato per una serie di piccoli furti andati non benissimo. Un povero ragazzo della provincia di Savona, peraltro simpaticissimo e sempre con la battuta pronta. Si alzava molto preso la mattina e si recava, dalla diramazione centrale, al piccolo stagno vicino a case bianche. Ci andava a piedi, controllava il livello dell’acqua, ritornava verso la Centrale e verificava che il potabilizzatore stesse funzionando. Si occupava anche di posizionamento delle antenne della Tv in maniera abbastanza pasticciata ma, tutto sommato, utile alla soluzione del problema. Un giorno me lo trovai davanti a Fornelli con la cassetta degli attrezzi. Sapevo della riapertura della diramazione e sapevo che gli era stato dato il compito di verificare alcuni impianti ma avevo avuto notizia che, ormai, tutto era funzionante. Più o meno. Quindi gli chiesi cosa ci facesse ancora a Fornelli e per giunta con la cassetta degli attrezzi. Lui mi guardò con circospezione e con un mezzo sorriso mi disse: “Dottò, devo sistemare i telefoni della sala colloqui”. “E per quale motivo?” chiesi, non ricordandomi che i colloqui visivi dei sottoposti al regime di massima sicurezza si effettuavano tramite il citofono e che necessitavano sicuramente di una rivisitazione, visto che era dagli anni ottanta, dal tempo delle brigate rosse, che non si utilizzavano più. “Così questi delinquenti possono parlare con i familiari”.
Capii che anche in carcere c’erano delinquenti e delinquenti. L’elettricista fai da te non si riteneva così “delinquente”. Uscì l’anno successivo in semilibertà. Trovò lavoro vicino a Savona, in una ditta che vendeva latticini. Chissà, magari avrà inventato il burro fosforescente.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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