Io so il giorno, 18 dicembre, perché il giorno dopo su questa storia ci scrissi una lettera a un’amica che ancora la conserva. E sulla lettera c’è la data. L’anno, boh, io avrò avuto meno di vent’anni, quindi l’Italia era unita da poco. Però c’erano già le 500. Io, non so come, in quel periodo mi ero infilato nell’organizzazione dell’opera lirica a Sassari. Non avevo ruolo, non lavoravo e non creavo, andavo lì a rompere le balle e assistevo alle prove (grande scuola per capire il melodramma e più in generale il teatro), nessuno mi mandava via e io se necessario facevo qualche commissione, giusto per rendermi simpatico. Una notte mi chiesero di accompagnare in albergo una cantante. Non dico se soprano, contralto o mezzo soprano, nulla deve servire a identificarla. Era asina da riderci appena emetteva un fiato, ma bona come il pane. E lo sapeva. Si atteggiava a diva. Avrà avuto più del doppio dei miei anni e a quei tempi sui quaranta non è che una fosse una giovincella, come adesso. Ma a quella le stava tutto bene su al suo posto come se avesse fatto un patto con Mefistofele. No, non era a Sassari per il Faust di Gounod e non tirate a indovinare perché tanto non ve lo dico chi era. Quindi, la strabona vede questo ragazzino che le guarda la scollatura sbavando e sperando che lei non se ne accorga e lo prende per il culo. Carino qua e carino là e ce l’hai la ragazza e cosa fate quando la fai salire in macchina, monellacci. La macchina era una 500 che potevo prendere la notte quando a casa non la usava nessuno. Si siede, si aggiusta la gonna, dice un paio di volte oddio ma stanotte proprio non ho sonno e roba così. Insomma, dopo avermi messo in tiro come un asino nella stagione degli accoppiamenti, mi dice di posteggiare sotto l’albergo, di spegnere il motore e mentre io mi faccio un cinema su quello che mi aspetta, apre lo sportello, scende e mi dice -Ciao, carino. Ora vai dalla tua ragazzina, se è ancora sveglia. E se ne va ridendo nella notte. E vabbè. Qualche mese dopo ho metabolizzato il trauma ed è appunto il 18 dicembre, quando, all’uscita di un bar in piazza d’Italia sto per entrare nella 500, sento la sua voce -Ciao, carino, sempre la stessa macchina? Cosa ci fa a Sassari? Chissà, forse durante la precedente stagione lirica ha intessuto qualche rapporto. Avete presenti quelle relazioni unilaterali che si sviluppano da ragazzi? Nel senso che tu ti immagini chissà cosa e lei non ti sta neppure cagando? Bene, in virtù di questo sono geloso del fatto che lei possa avere un amante nella mia città -Perché un coglione qualsiasi e non io? – mi chiedo indignato. Insomma, lei fa il gioco di qualche mese prima, fa le moine, mi scompiglia i capelli (sapeste quanti ne avevo, allora) e mi chiede un passaggio sino al solito albergo. Io, questa volta, sto sulle mie. Ma la natura è natura e quella Gradisca (Amarcord ancora non era uscito, Fellini si dev’essere ispirato a quella là), tra un vezzo, un’allusione e una sistematina al reggipetto mi rimette in tiro come un agnoni masciu barriri. I finestrini sono chiusi perché fuori c’è un freddo di quelli che se devi pisciare non te lo trovi ché il gelo te l’ha fatto a giogga minuda. Però, vista la situazione, non è il mio caso. Ma a un tratto, in un baleno, il microscopico ambiente così torbido di provocazioni maliziose e di sogni lubrichi e di penombre sibaritiche, si satura di una odore nauseante. Io dico una puzzetta per non offendere la signora, se per caso è ancora viva e mi sta leggendo, ma è una graveolenza impressionante, un tanfo insopportabile. Qualcosa del genere l’ho sentita poco tempo dopo quando, avendo cominciato a fare il cronista, mi sono ritrovato in una grotta a Chighizzu dove avevano nascosto a frollare un tale accoppato a coltellate. E mi chiedevo ma dove ho già sentito questo odore e poi me ne sono ricordato. Insomma, due siamo in questa 500. E io non sono stato. Ma lei non si scompone. Fa una risata argentina e poi tutta giuliva -La senti? Ah ah! Ma chissà cosa mi hanno dato oggi a cena? Ridacchio anch’io, freddino, mentre penso -Sarroni mazzidu cu intorriu di merdha, t’ani datu. Apro il finestrino e lei ha il coraggio di commentare -Brrr, che freddo. E il suo lo tiene chiuso. Fermo la macchina davanti all’albergo e in silenzio guardo il parabrezza. Lei continua a fare i suoi giochini di presa per il culo, apre lo sportello e poi, come l’altra volta, se ne va ridendo nella notte. Voi lo sapete che gli ormoni di uno che non ha neppure vent’anni sono dinamite. Ma vi giuro che se anche mi avesse detto di salire in camera le avrei detto vattene a fare in culo troddiona.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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