Jack Cooley Banco di Sardegna Dinamo Sassari - Umana Reyer Venezia Legabasket LBA Serie A Postemobile 2018-2019 Finale Playoff Gara 6 Sassari, 20/06/2019 Foto L.Canu - Ciamillo-Castoria
Tredici punti: ovvero quattro canestri da tre punti e un libero, sei canestri da due punti e un libero. La differenza è tutta qui, dentro un numero che è ritenuto fortunato e che ha girato dalla parte della Dinamo. Lo so che non ha senso fare la somma dei punti totali delle sette partite però questo conteggio riesce a dare, forse più di ogni altra cosa, l’essenza di questo strano e irripetibile gioco che è il basket. Lo frequentavo fin dagli anni settanta, quando a vincere erano Varese, Cantù e Bologna, quando ancora non c’era la regola dei tre punti, quando tutto era più acerbo e più lento. Nel palazzetto all’aperto “Giordo”, ad Alghero, d’estate si disputava un torneo con squadre “fittizie”, ma con dei giocatori in vacanza e che provenivano dalla serie A. C’era anche la Dinamo e non era quella dei nostri giorni. Io ero destinato alla radiocronaca per la mia radio. L’ho fatto per tre anni e mi sono davvero divertito. Ho imparato così l’amore per il basket, per la pallacanestro. Ho imparato la gioia di vincere per un punto e quella di perdere per un secondo, per un tiro bislacco, per un ferro che restituiva la palla al campo senza sfiorare neppure la retina. Ho imparato che perdere è dolorosissimo, ma ho imparato che vincere regala gioie immense a tutta la squadra. Il gioco della pallacanestro è corale, adrenalina allo stato puro, è lacrime e sorrisi che si accavallano camminando sui secondi. Non c’è tempo – apparentemente – per pensare, non c’è troppa tattica quando sei sotto di due o tre punti, c’è solo la voglia di pareggiare e sorpassare per poterla vincere. Ecco, ieri sera, in gara sette, è mancata la dose giusta di adrenalina ed è mancata, forse, quella che i napoletani chiamano “cazzimma” e che noi sardi chiamiamo “tirria”. Non siamo stati tirriosi al punto giusto. Non siamo riusciti a chiuderla nel momento giusto, non siamo riusciti in quello che tutti speravano: portare a casa lo scudetto per la seconda volta. Ma abbiamo vinto ugualmente pur perdendo la serie paly-off; siamo caduti nel game-seven che in America è considerato la fine di tutto, il regolamento dei conti, il duello di sguardi e di nervi: un po’ come quello che ci ha regalato Sergio Leone nel suo film “il buono, il brutto e il cattivo”. Gli sguardi di Spissu, Smith, Mcgee, Carter, Devecchi, Magro, Pierre, Gentile, Thomas, Polonara, Diop e Cooley hanno incrociato quelli di Haynes, Stone, Bramos, Tonut, Daye, De Nicolao, Vidmar, Biligha, Giuri, Mazzola, Cerella e Watt in un duello senza fine. Mani e occhi usati come fioretti e spade, scimitarre ed asce cercando, ognuno per la propria parte, di trovare quella retina da gonfiare con una palla a spicchi grande e difficile da far ruotare. Il resto sono fasi tecniche, dosaggio dei minuti, dei secondi, riuscire a ripartire quando si è sfiorato l’inferno con due “coach” come De Raffaele e Pozzecco che meritavano entrambi di allenare il prossimo anno la squadra campione d’Italia. Venezia ha lo scudetto – meritatissimo – e Sassari il rammarico di non essere riuscita a chiuderla in altri momenti (gara uno quasi vinta e perduta per un solo canestro). Ma questo è il basket, questa è la vita. Non basta dire “grazie ragazzi”, sarebbe troppo semplice e scontato. Aggiungiamoci “riprovateci” perché è così che diamo allo sport la giusta dimensione. Non sarà il game-seven a farci rotolare nella solitudine. Quello era solo un punto di partenza. Continuare ad esserci, a giocarsela punto su punto, secondo su secondo, con la giusta determinazione e un po’ di sfacciataggine. Così è, in fondo, anche la nostra vita: bella e – quasi – impossibile.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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