Ci sono i poveri e ci sono i ricchi. Dice che da un po’ di anni, da quando il capitalista si è trasformato in finanziere e si accontenta di essere soltanto ricco senza anche dare lavoro e il mondo è un po’ più di merda, i ricchi sono più ricchi e i poveri non ne parliamo. Ora però volevo parlare di quelli di mezzo, né poveri né ricchi, che pare siano di meno rispetto a prima ma comunque sono tanti. E dei loro bambini. Io ne conosco molti, di bambini, che i genitori li stanno facendo studiare da coglioni. Fanno di tutto per istruirli in quell’arte, per aprirgli quella strada, per cucirgli addosso l’abito mentale che li accompagni dalla condizione infantile e adolescenziale di coglioncelli a quella matura di grande coglione. I più dotati possono diventare anche stronzi e imparano a fare del male in vari modi e ne sono contenti, ma per la maggior parte restano infelicemente coglioni. E sapete come fanno quelli della via di mezzo ad avviare i loro bambini verso questa professione? Illudendoli di essere ricchi. Impedendo loro di frequentare altri che non siano come loro, colmandoli di privilegi fatti di oggetti, palestre e costosi corsi di cazzate dove imparano tutto meno che a vivere, e qualche volta per fare questo si annegano nei debiti con le banche e con certe “finanziarie” che quando vedi in faccia gli impiegati ti viene un brivido perché pensi ai metodi di riscossione dei crediti. Li viziano, cioè. E non vizi innocui, ma vizi che li chiudono in una noce di lussi inutili e volgari, tenendoli nell’ignoranza. E quando scoprono che quel loro mondo non è il mondo ma soltanto una quinta teatrale allestita dai loro genitori e che loro non possono più permettersela, piangono con il culo bagnato. Coglioni a vita: una condanna. E quindi? Boh, secondo me basterebbe farli vivere secondo i loro mezzi. Quanto è semplice: figlio mi’, questo giubbotto da paninaro (poi te lo spiego chi erano i paninari) non ce lo possiamo permettere ma se vuoi il parere di babbo non è un gran perdita; tu sei pieno di amici con i quali ti diverti, fate scherzi, guardate le ragazze e loro guardano voi, vi scambiate libri, mettete da parte soldi per un viaggetto o un grande evento musicale a Cagliari, cosa cazzo te ne fai, figlio mì, di quel giubbotto, di quella palestra frequentata da coglioncelli che sembrano il bambino ricco del ristorante di “Ladri di biciclette”? Guarda i “valori” che ho trovato in un sussidiario del 1958, che più o meno poteva essere il mio: dalle caramelle dei valori più bassi, alla penna stilografica delle mille lire che era il massimo che un bambino, ricco o povero, evidentemente potesse sognare. Non la penna stilografica, della quale non poteva fottermene di meno, ma le mille lire, cioè l’enorme somma che mi permetteva di acquistare un sacco dei giocattoli singolarmente accessibili con i valori più bassi. Oltre le mille lire i sussidiari non andavano, agli scolari non interessava. Non so se sia un buon metodo, ma a noi ha insegnato ad andar cauti anche con i sogni. Alle elementari sognavamo una pistola Cobra con cartucce Superbum o una fionda con le fettucce elastiche buone comprate da Pasquali e non i ritagli di gomma di bicicletta regalati dal meccanico di via Arborea ed era un bel sogno perché realistico e poteva capitare anche che si avverasse. Alle medie non sognavamo attrici perfette e modelle rubate alle copertine delle edicole, sognavamo la concreta pienezza della professoressa di Francese, irraggiungibile quanto le attrici delle copertine, ma reale nelle sue maliziose imperfezioni e in quel sobbollimento che ti faceva venire quando faceva la erre parigina e, bastardissima, se ne accorgeva che tu stavi inghiottendo saliva. Sogni, ma realistici, poteva pure succedere nella vita che tra qualche anno potessimo imbatterci più costruttivamente in una bona come lei. E anche ora, se devo sognare, non sogno tre milioni di euro che non so neppure come sono fatti ma un’improvvisa eredità venuta da non so dove di trentamila euro dei quali metto la maggior parte al sicuro per mie figlie e il resto lo spendo in un viaggetto oltre oceano che ho sempre sognato di fare. Non sono pochi trentamila euro. Ma tutto sommato è un sogno realistico, soprattutto è più divertente, mi rende più felice che sognare cose alle quali, per fortuna, i miei genitori non mi hanno mai abituato. Io non so se questo mondo dove due genitori che facevano nascere un bambino non pensavano tutti di essere Maria e Giuseppe e non rompevano i coglioni a parenti e conoscenti portandolo in giro , mettendolo al centro dell’attenzione e facendone a ogni incontro una noiosa epifania, non so se questo mondo fosse il migliore possibile. Non so se l’educazione che abbiamo avuto, senza lussi e senza chiusure, dove quelli delle vie di mezzo, né ricchi né poveri, non confinavano i figli in scuole esclusive, palestre e corsi di Inglese ma li mandavano a giocare in strada, io non so se questa educazione abbia creato generazioni migliori: da come si stanno comportando ora, direi anzi di no. Ma almeno sono stati e sono più felici di questi bambini pseudo ricchi che quando apriranno gli occhi sul mondo vero avranno sorprese sgradevoli.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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