Parlavo l’altro giorno con un ex funzionario pubblico, ora in pensione. Titolo di studio diploma, carriera arrivata grazie a quelle leggine che facevano in tempo di vacche grasse, pensione tutto sommato giunta presto, intorno ai 60 anni. Insisteva, anche lui, con questa storia delle pensioni che sono basse, o l’età pensionabile che è alta, per colpa dei migranti. Insomma, anche per il pensionato “fortunato” valeva questa ridicola e assurda regola per cui tutto quello che di male succede, è colpa dei migranti. Come sia potuta passare una sciocchezza simile, non solo nelle classi popolari mentalmente manipolabili, ma anche in strati della popolazione più strutturati culturalmente, è un mistero che mi ha fatto riflettere non poco. Si tratta di una sciocchezza senza senso, è chiaro. I capitoli di spesa di soccorso, o di aiuto al terzo mondo, insomma tutto quello che riguarda la solidarietà o l’accoglienza non interferiscono minimamente sul problema della pensioni, che sorge per tutta una serie di motivi legati alle scelte politiche del passato, di sprechi e assistenze pensionistiche esagerate, e del presente, con le scelte politiche, vedi “riforma Fornero”, di far ricadere sul ceto medio il peso della crisi. Tutte cose che dovrebbero essere abbastanza evidenti alle persone di media cultura. Per cercare di comprendere questo fenomeno sociale, che ha preso le sembianze di una vera e propria patologia collettiva, una psicosi, si potrebbe ricorrere al concetto di Gramsci di “egemonia culturale”. Le classi dominanti, infatti, non occupano solo fisicamente i centri del potere, ma impongono anche la propria cultura e morale che, il più delle volte, è strumentale al mantenimento del loro stesso potere. Le classi subalterne assorbono questa cultura, fino a non distinguerla più e a diventare succubi di quella cultura senza rendersene conto. Ecco perché dei valori culturali tipici della borghesia occidentale oggi sono indistinguibili e sono diventati valori universali. Noi stessi oggi siamo dentro fasi di transizione di tentativi della classe egemone, economica, politica e finanziaria, di trasformare la nostra psicologia, le nostre abitudini, i nostri valori. Si potrebbero fare tanti esempi su come l’intreccio tra economia e mezzi di informazione creino mode e gusti, con processi anche irreversibili, si pensi al mutamento delle preferenze alimentari nei giovani che preferiscono il cibo industriale, compreso il cosiddetto junk food, ai sapori sani e genuini. In questo momento, ad esempio, a dispetto delle statistiche, per creare un clima di paura, ci fanno credere che vi sia in giro tanta di quella delinquenza da non potere neppure uscire di casa. Si alimenta così un circuito perverso che sta finendo di spezzare ogni legame solidale, ma che tuttavia è funzionale non solo alla difesa della proprietà privata, ma anche ad uno stile di vita di tipo accentuatamente consumistico. Può sembrare una assurdità, ma la solidarietà è nemica del mercato, che oggi impone regole e modi di vivere. Il rapporto dialettico tra la morale delle classi egemoniche e l’agenda resistenziale della parte più cosciente e consapevole della società è dunque una costante storica. In generale si può affermare che la classe dominante, nel nostro ricco mondo occidentale, detiene il potere mediante un complesso sistema di sfruttamento delle risorse di altri paesi e di mano d’opera nei propri confini nazionali. Con l’ampliarsi dei mezzi di informazione, tuttavia, le informazioni su quanto accade nei paesi dove lo sfruttamento assume i contorni dell’intervento militare sono diventate accessibili. Il naturale senso di pietà dell’uomo rischia di compromettere, alla vista delle bombe che distruggono case e uccidono famiglie, quel sistema complesso di sfruttamento di cui facciamo parte anche con il nostro stile di vita. In un periodo di crisi e di transizione economica, la classe dominante occidentale, pur di mantenere il potere, anche egemonico, cioè culturale, sta conducendo una operazione molto azzardata, che rischia di disgregare la società stessa, ovvero lo sdoganamento del razzismo, la chiusura dei confini, e persino il tentativo di sopprimere, nel nome della difesa della propria incolumità, i diritti fondamentali. Si cerca, ovvero, di perpetuare lo sfruttamento giustificandolo con una superiorità morale e culturale e accentuando il conflitto, la cosiddetta “guerra infinita”, alimentando il circuito vizioso azione – reazione – azione, guerra – terrorismo – guerra. Nel contempo, si devia il malcontento prodotto dal peso della crisi, scaricata sui ceti popolari, verso quelli ancora più poveri, creando ad arte delle paure e delle fobie strumentali. La psicosi dell’immigrato nasce, così, soprattutto in Italia, per giustificare i peggiori fallimenti storici di una classe dirigente, dalla disoccupazione al problema pensionistico. Come si diceva, basta osservare le statistiche e si scoprirà, ad esempio, che negli ultimi vent’anni i reati come gli omicidi, in Italia sono crollati letteralmente; eppure la percezione che viene indotta è esattamente quella opposta. L’odio che nasce dalla paura e viene giustificato dal razzismo, è un meccanismo tipico, piuttosto facile da provocare con la propaganda. Quindi la classe dominante europea e nord-americana per perpetuare il suo potere, ha sdoganato il razzismo e il fascismo, lo ha reso legittimo, con grave rischio e pericolo di tutti. La storia infatti insegna che queste situazioni possono sfuggire di mano. Lo insegna il nazismo, lo insegna il fascismo, lo insegnano le grandi orribili guerre del passato. Ho pochi dubbi sul fatto che ci avviciniamo, perpetuando questa situazione di odio e di psicosi collettiva, a grandi passi verso tragedie di cui forse, troppo presto, ci siamo dimenticati.
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo. Il suo ultimo libro è invece un romanzo a sfondo neuroscientifico, "La notte in fondo al mare".
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