Qualche anno fa, qualche si fa per dire, pensavo che Babbo Natale non sarebbe mai potuto arrivare da me perché nella mia casa non c’era il camino. C’era una stufa a kerosene ma nessuno aveva mai dipinto Babbo Natale che usciva tutto puzzolente da una stufa a kerosene. E allora pensavo che avrebbe eccezionalmente scelto di passare da una porta o una finestra. E comunque mai e poi mai uno generoso come Babbo Natale mi avrebbe lasciato a secco perché involontariamente mi ero messo in tasca quelle cinquecento lire dimenticate sul tavolo da mamma e, visto che me le ero ritrovate in tasca, le avevo spese tutte in figurine. Non avevo mai avuto tanti pacchetti di figurine dei calciatori da scartare tutti insieme.
Però non avevo mai avuto nemmeno quel bernoccolo causato dalla scoperta dell’appropriazione indebita e prodotto dalla collisione tra un mestolo di legno e la mia testa mentre cercavo di ripararmi sotto il tavolo. La rottura del mestolo è un dettaglio relativamente insignificante, se non per il fatto che aumentò ulteriormente il malumore e il meritato castigo ufficializzato dalla classica e temuta frase: da oggi sei in punizione.
In cosa consisteva la punizione? Era un po’ come le giornate di squalifica per i calciatori. Quando uno viene espulso, non gioca per qualche giornata. Ed era la stessa cosa per me che passavo tutto il tempo libero a giocare a pallone per strada. Partitelle destinate a durare per l’eternità che si interompevano quando, anziché uno squillo sul telefonino (che ancora non c’era) si levava nell’aria un richiamo proveniente da un lontano balcone. Quello da temere era il terzo. Tutti sapevamo che il terzo richiamo era quello fatale.
I richiami erano una prerogativa delle mamme. Il primo era soft e conciliante, il secondo più deciso, il terzo perentorio e ultimativo. Se, al terzo richiamo, non ti dirigevi verso casa dovevi aspettarti che venisse a prenderti tuo padre. E scomodare il maschio dominante era fonte di guai seri. Non che stesse guardando la televisione, all’epoca molto meno presente nella giornata-tipo della famiglia. Il maschio dominante di casa mia di solito a quell’ora faceva le parole incrociate ed era tutto concentrato. Trascorso invano il terzo richiamo, il maschio dominante scendeva giù incazzato nero, ti prendeva a voci e facevi una figura di merda con gli altri. Meglio evitare, insomma.
Le partite di pallone in strada, dicevo, erano a compagini variabili. Capitava fossimo in numero dispari e allora il migliore giocava con la squadra in inferiorità numerica. Portiere non ce n’era. Lo specchio della porta era un rettangolo virtuale con due pietre alla base e si registravano alcune fastidiose interruzioni per consentire alle macchine di attraversare il terreno di gioco. La partita finiva, per tacito accordo tra le squadre, quando il proprietario del pallone subiva il terzo richiamo dal balcone di casa. Non ho mai capito perché circolassero così pochi palloni, all’epoca. Avere il pallone era uno status symbol. Per esempio, ti consentiva di tirare tutti i rigori e di trovarti sotto casa delegazioni di amichetti che ti supplicavano di scendere a giocare con loro. Invito che di solito veniva raccolto dopo qualche insistenza.
Racconto queste cose perchè, qualche giorno fa, mia madre ha recuperato dall’archivio di famiglia un vecchio quaderno a quadretti. Un quaderno blu della Upim. Aprendolo, c’era il mio nome, l’indirizzo e la classe: terza elementare. All’interno, però, non c’erano pensierini, dettati o operazioni matematiche. C’era un certosino elenco di grandi personaggi dello sport di quegli anni, divisi per categorie, che leggevo in chissà quale giornale e ricopiavo a penna nel quaderno. E c’erano addirittura due articoli ricopiati integralmente a penna da chissà quale giornale e relativi a due partite di coppa Uefa con tanto di firma finale del giornalista.
Ma guarda come cazzo passavo il tempo, mi sono detto ritrovando quel vecchio quaderno. Ed è stato inevitabile pensare all’importanza dell’immaginazione nella vita di un bambino. Mi è tornato in mente che passavo ora a simulare interi torneo di calcio internazionale facendo giocare due dita della mano con una pallottola di carta che ogni tanto si infilava in rete centrando lo spazio tra i due piedini del comodino, con tanto di esultanza vocale. E mi è tornata in mente la curiosità con cui sfogliavamo certi giornali pornografici dalle pagine appiccicate abbandonati nelle campagne della periferia. E i fumetti, chi li compra più i fumetti?
Non ho conclusioni di tipo filosofico da fare. Credo però che nel primo secolo avanti Google il sapere arrivasse distillato, tante piccole gocce che non avrebbero mai potuto placare la sete ma, al contrario, la alimentavano. Al resto pensava l’immaginazione. Ce n’era di più? Non so. Di certo abbastanza per pensare che Babbo Natale trovasse un’alternativa alla stufa a kerosene e dimenticasse quelle 500 lire porte con timore all’edicolante in cambio di un mazzo di figurine. E un bernoccolo.
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