Facciamo così: provando ad unire due date primo marzo 2012 e 4 marzo 1943 otteniamo un nome quasi indimenticabile: Lucio Dalla e facciamo che ne parliamo oggi – 3 marzo 2017 – in maniera diciamo equidistante a cinque anni dalla sua morte e a 74 anni dalla sua nascita. Lucio è quello delle canzoni, del clarinetto, delle parole strane, della musica che ci ha accompagnato a noi intorno ai sessanta. Uno che ha viaggiato sempre veloce e che ha dedicato un album bellissimo alle automobili scritto con il poeta bolognese Roberto Roversi. Nuvolari è davvero un racconto epico, d’altri tempi, quando la gente non dormiva la notte per vedere passare gli eroi delle mille miglia. Dalla è anche quello di “Com’è profondo il mare” e di “Disperato erotico stomp” con quelle parole indimenticabili (nel centro di Bologna non si perde neanche un bambino) che se passate per Bologna ve le sentite scolpite addosso. Come Anna e Marco dove l’America è lontana, dall’altra parte della luna e, ancora quella lettera indimenticabile che cominciava con “Caro amico ti scrivo, così mi distraggo un po’ e siccome sei molto lontano più forte ti scriverò”. Mi son portato addosso, per una vita, “La sera dei miracoli” era il brano che facevo passare in radio almeno una volta al mese (ci sono anche i delinquenti, non bisogna aver paura ma stare un poco attenti) e per colpa del mio mestiere è diventata per anni la colonna sonora tra un carcere e l’altro. Però il testo che ritengo più bello e avvolgente è sicuramente “Tango”: “Hai più preso il treno mi son guardato intorno ho viaggiato cento notti per arrivare di giorno ho letto libri antichi e preoccupanti poi arrivati a Torino ci siamo commossi in tanti per quel tango ballato dal bambino”. Lucio Dalla ha scelto di nascere e morire nello stesso mese. Me lo rivedo, con il suo clarinetto, la sua papalina, il suo ghigno felice, la sua voglia di cantare dentro un’ora dei miracoli che mi confonde e mi sembra di sentire il rumore di una nave sulle onde. Buona e forte musica old Lucio.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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