Per noi che abbiamo le giornate scandite dagli eventi e dai riposi, che beneficiamo della possibilità di avere orari a misura della nostra vita, per noi che conosciamo il concetto del tempo libero, della possibilità di poter giocare con i nostri figli e i nostri nipoti, per noi che non sappiamo neppure dove diavolo si trovi l’Illionois ma dovremmo stamparcelo bene dentro la nostra memoria di pesci rossi perché è da quelle parti che nel 1867 venne approvata una legge che fissava l’orario di lavoro quotidiano in otto ore. Noi dovremmo capire e abbracciare chi ha lottato per queste conquiste, chi ha sudato e pianto ed è morto per ottenerle. Noi, che oggi guardiamo stancamente l’orizzonte, che abbiamo trasformato questa giornata in un’ immensa scampagnata smodata e maleducata, che la utilizziamo per recarci nei centri commerciali e ci scandalizziamo – cazzo, ci scandalizziamo – perché qualcuno ha deciso di chiudere il primo maggio, il giorno in cui noi non lavoriamo, il giorno in cui nessuno dovrebbe lavorare perché dovrebbe essere il giorno più lungo e dolce dell’anno incollato al dolce far niente e alla contemplazione. Noi che guardiamo all’America solo per i telefilm e la musica, dovremmo ricordare ciò che accadde il 3 maggio del 1886 a Chicago quando i lavoratori in sciopero vennero attaccati dalla polizia: due morti e diversi feriti. Dovremmo ricordare ciò che accadde il 4 maggio quando la dinamite folgorò la vita e uccise sei poliziotti che aprirono il fuoco e nacque la più grande carneficina della storia dove nessuno è mai riuscito a conoscere l’esatto numero dei morti. Noi che oggi con le nostre auto o bici o a piedi camminiamo sulle spiagge o sui laghi o sulle città d’arte godendoci quel sole dolce che è figlio di una primavera ormai inoltrata, noi dovremmo ricordare il 4 settembre del 1904, quando durante uno sciopero nella miniera di Buggerru, l’esercito sparò sui manifestanti uccidendone quattro e ferendone undici. Noi che dimentichiamo tutti i morti sul lavoro e per il lavoro, tutti quelli che con dignità e enorme sacrificio hanno lottato per una avvenire migliore noi, oggi, primo maggio, dovremmo essere fieri dell’eredità che ci hanno lasciato, dovremmo essere felici di quel “tanto” che abbiamo rispetto al poco e al nulla che c’era. Noi che abbiamo il lavoro e abbiamo i diritti, dobbiamo continuare a lottare affinché tutti possano avere un lavoro e tutti possano festeggiare degnamente questa giornata. Lo dobbiamo ai nostri antenati, a chi ha lottato. Lo dobbiamo ai minatori di Buggerru, a quelli della Sir, dell’Italsider, dell’Alcoa, alle donne dei calzaturifici che hanno delocalizzato, alle commesse che anche oggi sono costrette a lavorare. Noi dobbiamo festeggiare il primo maggio con la gioia e la consapevolezza che per i diritti dei lavoratori ogni attimo di lotta è ben speso, perché è il piccolo tesoro che lasciamo ai nostri figli. Questo dobbiamo al loro futuro. Questo dobbiamo fare.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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