Io qualche anno fa ho commesso un peccato grave.
Luca (nome di fantasia, n.d.r.) è stato un mio alunno colpito da tetraparesi spastica con ritardo psicomotorio. Alla fine dell’anno io, che non sono solita distribuire promozioni come bomboniere a un matrimonio, l’avevo promosso. Ma non è questo il peccato, poiché nella valutazione finale non si guarda asetticamente solo al raggiungimento degli obiettivi, bensì si tiene conto di tutto il processo. Ho commesso peccato, dicevo, perché nella certificazione delle competenze, che viene stilata nel passaggio dal biennio al triennio, avevo attestato nero su bianco competenze che Luca non aveva.
Forse avevo agito di pancia, ma regalare una piccola gioia ad una famiglia già gravata da un macigno insostenibile, come quello di una disabilità importante, mi era sembrata scelta di buonsenso.
Non so cosa ne penserebbe in proposito don Alessandro Fadda, ministro del sacramento, evangelizzatore della parola del Signore, che ha pensato bene di negare la Prima Comunione ad un bimbo disabile. Un prete talmente pignolo che ha tentato di giustificare, con un salto mortale e mezzo carpiato, il suo ripugnante diniego con la necessità della consapevolezza, da parte del fedele, del sacramento che riceve. Oltre al fatto che quest’accuratezza nel voler distinguere a tutti i costi il pane dall’ostia mi pare fuori luogo, sarebbe interessante interpellare tutti i neonati che ricevono il battesimo e domandare loro se effettivamente abbiano contezza del sacramento appena accolto.
Il mio punto di vista pienamente laico m’impone di considerare il fatto che concetti come “peccato originale”, “colpa”, “redenzione” e “penitenza” siano dei princìpi squisitamente nobili, ma non indispensabili nella vita di un ragazzino diversamente abile e ritengo che nella sua mente, non convenzionalmente articolata, non vogliano dire assolutamente nulla. Il rifiuto sì, quello un significato ce l’ha. E pesa soprattutto in una mente non convenzionalmente articolata.
Ma il mio parere conta poco, si sa, del resto è quello di un’atea che non ha scelto carità e misericordia come percorso di vita. Tutti gli altri son pretesti.
La piccola Romina nasce nel '67 e cresce in una famiglia normale. Riceve tutti i sacramenti, tranne matrimonio ed estrema unzione, e conclude gli studi facendo contenti mamma e papà. Dopo la laurea conduce una vita da randagia, soggiorna più o meno stabilmente in varie città, prima di trasferirsi definitivamente ad Olbia e fare l’insegnante di italiano e storia in una scuola superiore. Ma resta randagia inside. Ed è forse per questo che viene reclutata nella Redazione di Sardegnablogger.
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