E’ da un po’ di tempo che mi torna in mente la storia pirandelliana “ Uno, nessuno e centomila”. Quella in cui il protagonista Vitangelo Moscarda, colto da un’estrema crisi d’indentità, decide di distruggere quella forma in cui la società lo ha imprigionato e che non riconosce come sua. Il tutto dopo che sua moglie gli fa notare della stramba pendenza del suo naso verso destra, della quale non si era mai accorto.
Della non bellissima forma del mio naso io mi sono invece sempre accorta, anche se questo, per fortuna, non perde verso destra.
Eppure, mi pare di conoscere la sensazione di Vitangelo, quella di essermi imbrigliata in una forma che mia non è, e chiedermi “Chi sono?”. Questa forma che non riconosco è quella inconsistente della “collaboratrice occasionale” che però lavora 40 ore a settimana, queste sì, ben consistenti; ore non retribuite ma “rimborsate”.
“Meglio di niente”.
“Meglio di uno sputo in un occhio”.
“Meglio di un calcio nel culo”.
Sono queste alcune delle frasi di commento altrui, con un climax che denota l’immensa fortuna che mi sarebbe capitata.
Ma la forma che ho sognato di assumere di fronte a realtà come questa è quella dello scrivano Bartleby di Melville, quello che alle richieste del suo capo rispondeva: “Preferirei di no”.
E l’epoca di Bartleby e il suo capo non era quella dei:
“ Se ti pagassi quanto effettivamente dovrei, chiuderei in tre mesi”; o dei “ Non puoi chiedermi un contratto, non posso garantirti nulla”.
Per alcuni sarò anche stata “fortunata” ma continuo a sognare di poter dire, anche io come Bartleby, che preferirei di no.
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