C’era da sbrigare la pratica del Pranzo di ferragosto, cercando per quanto possibile di ridurre la pratica a piacere, di non svilire tutto a rituale che va fatto perché lo devi fare. Lochescion, casa al mare con vista sul golfo del Pevero, Costa Smeralda. I miei suoceri, i miei genitori, la mia zia signorina, un amico di famiglia, altro parentame assortito: una dozzina di persone in tutto, età media molto alta. Menu di carne, forse per la prima volta negli ultimi dieci anni a ferragosto, perché tra gli invitati non tutti avrebbero gradito le arselle e i gamberi inizialmente in programma.
Un paio di giorni prima, la mia zia signorina ha chiesto se potessimo aggiungere alla compagnia una coppia di toscani, da una decina d’anni miei dirimpettai nei mesi del tempo buono. Lui ottantotto anni, lei ottantatré. Portati dignitosamente. Trasferiti in Sardegna da aprile a novembre come un americano in pensione migrerebbe in Florida, per vedere brillare di una luce radiosa l’ultimo tratto del cammino. Erano destinati al ferragosto da soli, nel loro appartamento ai bordi del paese, comodo e ordinato, ma in mezzo al nulla della giornata dove la solitudine, per chi non ha nessuno, è più che mai solitudine. Figli e parenti lontani, anche se lei ha una certa confidenza con la tecnologia e riesce a comunicare su whatsapp.
Dopo pranzo, col sole ormai alle spalle, ci siamo messi comodi nella terrazza ombreggiata. Il toscano, assiso come un re in poltrona, mi parlava a bassa voce della sua infanzia a Pisa, scandendo il racconto tra capitoli di pause ben studiate. Nessuna patetica nostalgia, nessun tentativo di strapparmi compatimento. Nuda cronaca, come gli era rimasta impigliata nella memoria. Ad un certo punto le mie palpebre hanno ceduto, ma in qualche lampo di coscienza l’ho sentito ancora ricordare episodi del suo lavoro di apprendista in officina, da ragazzo, sotto i bombardamenti. Il mio sonno era un dettaglio irrilevante. L’importante era quella memoria, che io la ascoltassi o no.
La toscana ha chiesto che io le accomodassi il tablet che le dava noie. Quando la luce del giorno ha iniziato a stingere, ha preso a fotografare all’impazzata col suo smartphone il golfo zeppo di yacht. Ce n’erano due, molto più grandi degli altri, proprio davanti ai nostri occhi: il Dilbar dell’uzbeko cittadino onorario di Arzachena e il veliero che chiamano A, di un russo che non so a cosa debba la sua fortuna (e nemmeno mi interessa). Ho puntualizzato, col piglio del cronista, che erano le due barche private più grandi al mondo. Allora lei s’è messa a smanettare su Google e ha scoperto che la A era costata al russo 425 milioni di euro, che i tre alberi spiccavano più di cento metri e che il fondo della barca era trasparente, così da poter vedere i fondali.
Così abbiamo iniziato a fantasticare su questa meraviglia e in lei, che certa smaccata abbondanza non l’aveva mai vista, c’era più dell’intero stupore di tutti noi messi assieme. Ha mandato la foto al figlio che vive in Lombardia. E ha cercato di spiegare, sempre su whatsapp, dove esattamente avesse trascorso il suo ferragosto. Allora io le ho insegnato a condividere la posizione precisa trasmettendola all’interlocutore. Si è fatta ora di cena e ci siamo sbafati un filetto al pepe verde. Ce li avevo davanti a me, i coniugi toscani, ne studiavo ogni muscolo del volto. Vedevo due persone felici, paghe di un giorno di scoperte speso bene, illuminato dalla luce radiosa che dovrebbe accompagnare ogni ora dell’ultimo tratto del cammino. Il senso del mio ferragosto è stato questo: godere della gioia di due vecchi sottratti alla tristezza di una giornata come tante altre. Quest’anno non ho ancora visto “Pranzo di ferragosto”, il capolavoro di Gianni De Gregorio. Diciamo che l’ho vissuto.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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