Il 2 luglio di due anni fa se parlavi di politica parlavi soprattutto del referendum, quello costituzionale, che doveva essere revisione sì o revisione no e che in realtà per la stragrande maggioranza voleva dire Renzi sì o Renzi no. Anche per Renzi, comunque la metta lui, aveva questo significato. Su Sardinia Post leggo oggi una bella intervista di Alessandra Carta con Tore Cherchi. Tra gli altri mi colpisce il concetto del “Renzi populista”, con la sua rottamazione che in fondo non ha niente di diverso dal vaffa grillino. Già, penso io, a giocare con il politically incorrect alla fine non capisci più sin dove arriva il gioco e dove si comincia a fare sul serio. Cherchi aggiunge che ora è inutile intestardirci ad attribuire responsabilità, che ora è soprattutto il momento di ricostruire la sinistra. Ha ragione, ma pensando a quel disastro di due anni fa non riesco a non pensare a quest’altro disastro annunciato della riforma del piano regionale paesaggistico. La sinistra sarda si spaccherà così come si era spaccata su quell’inutile referendum e già da ora i 5 Stelle per finire di dissolvere il Pd stanno cavalcando il No alla demolizione del Ppr di Soru, giudicato una vera e propria bandiera dalla sinistra ambientalista a livello nazionale. Chi circonda il pur onesto e bravo presidente Francesco Pigliaru? Sembra che alcuni lo stiano inducendo a incaponirsi su una legge che attraversa il gradimento di settori del Pd da sempre egemoni in un partito ormai al lumicino e di una destra urbanisticamente (e non solo) berlusconiana che non ha certo storicamente brillato nelle battaglie per la difesa delle coste. A me questa riforma urbanistica non piace, come non mi piaceva quella costituzionale di Renzi. Ma ora come allora mi preoccupa il fatto che sia fonte di divisione nella sinistra. Anzi, ora più di allora perché le conseguenze a livello locale sono anche più prevedibili. Se il Pd sperava alle prossime regionali di recuperare voti da un elettorato di sinistra pentito di avere votato M5S dopo l’alleanza con Salvini, il sogno svanirà dopo qualche mese di campagna grillina contro l’amministrazione regionale sarda che “indebolisce la difesa delle coste contro la speculazione”. Diranno senz’altro così. E forse avranno ragione. E mi chiedo ancora che fretta abbia Pigliaru di portare questa proposta a un voto che sul piano politico generale, anche senza alcuna apertura di urne, si trasformerà in un oggettivo, grande referendum. Ritiene Pigliaru che questo sia il momento di sconcertare la sinistra riformando il piano paesaggistico di Soru? Che il Pd abbia ora la forza di fare un’operazione del genere? Che sia ancora il caso di cercare consensi fuori dalla grande area della sinistra quando l’elettorato di destra e populista ha già detto quali sono i suoi partiti? Già la Cgil sarda ha detto che non è il caso di portare questa riforma al voto. Ma certi saggi consiglieri di Pigliaru, anziché fare tesoro di queste sirene di allarme, si scagliano contro “le divisioni a sinistra”, come Renzi due anni fa. Ma cosa pretendono, che un’area di opinione marcatamente ambientalista, come è quella della sinistra sarda, già turbata dalla disfatta delle politiche ora segua ciecamente questo diroccato Pd sardo anche quando fa cose che in linea di massima non appaiono propriamente “di sinistra”? Chi consiglia Pigliaru – che dopo la sua recente iscrizione è il più importante dei militanti del Pd sardo – sui percorsi per la formazione del consenso? Quindi si va verso un disastro sin troppo prevedibile allo scopo di approvare prima della fine del mandato nuove norme urbanistiche. Una fretta ingiustificata, un masochismo politico che davvero mi fanno riflettere cupamente sia sugli effetti di questa riforma per il nostro territorio sia su quelli per l’unica area politica che ormai può opporsi all’avanzata del fascismo nel nostro Paese.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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