Ci sono luoghi che sono ponti. Ponti protesi tra luoghi geografici, ponti fatti per unire. Uno di questi ponti è il promontorio di Capo Figari. Dall’alto dei suoi trecento e passa metri di altezza, proteso verso il mar Tirreno, pare unire l’isola con la penisola. Guglielmo Marconi aveva deciso di fare i suoi esperimenti, con la radio, da quel promontorio proteso dalla Sardegna all’Italia. Agli inizi del secolo scorso, inviava messaggi invisibili verso il continente, da un centro radio che ora pare in stato di abbandono, proprio là, in cima. Il panorama che si gode è stratosferico. Alla base del promontorio c’è un porto naturale che i ritrovamenti archeologici, di tutte le epoche, mostrano essere stato utilizzato fin dal lontano passato. In epoche più recenti, i pastori commerciavano i loro prodotti con i marinai che lì approdavano, fino a che galluresi e tirrenici, in particolare dell’isola di Ponza, ne fecero un porto di pescatori. Ma quel luogo era nato per essere un ponte, era nato per unire, e cosi le Ferrovie dello Stato ci fecero il nodo intermodale tra navi e treni. Nel frattempo il nome del luogo alla base dell’alto promontorio, perse la sua etimologia originale, trasformandosi dal gallurese Golfo di li Ranci, golfo dei granchi, italianizzato in Golfo Aranci. Naturalmente, di aranci, neppure l’ombra, in quel paese di pescatori che, intanto, cominciò a circondarsi, grazie alla sua bellezza, di residenze turistiche. La ferrovia, prosecuzione dell’unica dorsale che unisce nord e sud dell’isola, costeggia il mare, dal paese al promontorio, con la sua teoria di binari di servizio, binari morti, binari che arrivano fino al porto dove giungono i traghetti dal continente. Un mazzo di binari prosegue, ad un passo dal mare, dal paese verso il promontorio. All’altezza della vecchia colonia per i figli dei ferrovieri, spezza in due uno strano manufatto in pietra. E’ un pozzo sacro di epoca nuragica. Ha probabilmente 3500 anni. Il binario gli scorre vicino, cancellando l’esedra, il cortile delle offerte cerimoniali. I pozzi sacri sono un luogo di culto tipico della Sardegna nuragica. Trasmettono un linguaggio potente di simboli arcaici. L’acqua, che scorre in fondo al pozzo, sembra collegata agli astri attraverso il foro praticato nella cupola, e la porta che accede alle scale che giunge alle acque sotterranee è un ponte verso un’altra dimensione. Dall’alto, la pianta del monumento che evidenzia la stilizzazione femminile, della fertilità e della maternità, è un potente simbolo archetipico. Sono circa sessanta i pozzi sacri in Sardegna. Di simili, fuori dalla Sardegna, ce n’è solo un altro, in Bulgaria. Il pozzo sacro di Milis, costretto dai binari della ferrovia, è uno dei tre pozzi che ha conservato l’architrave dell’ingresso, oltre a quelli di Funtana Cuberta a Ballao e di Su Timpiesu a Orune. È anche uno dei più belli, dei più significativi e dei più grandi esistenti. Nel 1822, quando fu emanato l’editto delle chiudende, che consentiva di privatizzare le terre chiudendole con i muretti in pietra, molti nuraghi e monumenti dell’epoca furono smantellati per prelevarne i conci già belli e pronti. Eppure sono sopravvissuti anche a quella catastrofe. Ma siccome quel luogo è sempre stato un ponte tra il presente e il passato, il suo utilizzo, come pozzo, è perdurato fino ai giorni nostri. Sicché, se uno scosta la vecchia lastra in metallo che ne ricopre l’ipogeo, scopre una vecchia autoclave arrugginita che prelevava l’acqua e la portava chissà dove. Nel sito del comune di Golfo Aranci si legge del monumento, evitando, però, di indicarne l’ubicazione, per evitare, spiega, che qualcuno si possa far male. Un monumento unico al mondo che viene tenuto nascosto. Ma per fortuna che, essendo demanio ferroviario, quindi dello Stato, non vi sono i farraginosi vincoli da imporre ai privati. Per cui quando finalmente, alcuni anni fa, il comune ha deciso di stanziare un po’ di fondi per il recupero del sito, non si aspettava di trovarsi di fronte all’amara sorpresa di un regime fondiario mutato, causa l’acquisto di quei terreni da parte di un privato, si dice per errore nell’individuazione dei mappali. E così i fondi stanziati sono rimasti impantanati nelle questioni burocratiche. E il pozzo sacro, monumento unico al mondo, è rimasto con l’autoclave arrugginita dentro e le erbacce attorno
(foto gruppodininterventogiuridico)
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo. Il suo ultimo libro è invece un romanzo a sfondo neuroscientifico, "La notte in fondo al mare".
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