Luglio-Settembre 1855.
Esattamente 160 anni fa, il colera, che da circa un anno imperversa nel capo di sotto, si va diffondendo anche nel sassarese. L’epidemia, come documenta il medico Du Jardin nel suo “Resoconto sul colera a Sassari”, dilaga in tutto il nord ovest durante l’estate del 1855. Scrive Du Jardin: «due agricoltori, Puzzone Salvatore e Solinas Ignazio, venuti il primo da Torralba e il secondo da Florinas per la circostanza della mietitura, lavoravano alle aie presso l’accennato paese e, colti da coléra, repentinamente morivano. Fu questa la scintilla di un grande incendio il quale, come è solito del coléra, non divampò che dopo alcuni giorni cioè alla metà di luglio.» Sono anni di estrema povertà quelli della metà dell’ottocento per le nostre zone rurali: solo 15 anni prima era stato abolito finalmente il feudalesimo, e solo nel 1848 la “fusione perfetta”, decretata dallo Statuto Albertino, ha permesso all’isola di far parte a tutti gli effetti del Regno Sardo-Piemontese. L’arretratezza è però notevole, le condizioni economiche e sociali sono quelle di un’isola composta sostanzialmente da due città “grosse”, Cagliari e Sassari, e da una serie di piccoli paesi e villaggi dall’economia agro-pastorale poverissima. È in questo contesto che si sviluppa una delle ultime epidemie che, insieme alla malaria, sono state fino al novecento la causa di vere e proprie decimazioni della popolazione. Porto Torres, in quello scorcio di secolo, non è che un piccolo paese autonomo da Sassari da appena dieci anni. Ha poco più di duemila abitanti e la sua popolazione si divide intorno ai due simboli di quella che era stata la capitale del Giudicato di Torres dissoltosi alla fine del 1200, il porto e la maestosa basilica dei martiri Gavino, Proto e Gianuario. Allo scoppio dell’epidemia nel piccolo paese della Nurra vi è solamente un medico, non uno speziale, non una farmacia, nessuna struttura sanitaria per far fronte alle minime emergenze, neppure un infermiere. Il lazzaretto, di cui ora che è scoppiata l’epidemia si sente l’urgenza, non ha mai trovato la sua realizzazione per la perenne scarsità di risorse di cui la povera amministrazione comunale può disporre. Solo, in quei drammatici giorni in cui il morbo si diffonde a macchia d’olio, si riesce ad acquistare un carro per il trasporto a Sassari degli ammalati, soprattutto i più indigenti, da ricoverare all’Ospedale Civile Provinciale. Ma gli ammalati crescono di giorno in giorno e crescono i morti. Si muore in casa, si muore in ospedale, si muore persino per strada, e quel carro che dovrebbe servire da ambulanza, ben presto diventa il carro su cui vengono caricati i numerosi cadaveri da trasportare nelle fosse comuni che ogni giorno si scavano alla periferia del paese, oltre la basilica, e che, una volta piene di cadaveri, vengono ricoperte di calce viva per evitare l’ulteriore diffondersi del colera. Sono settimane terribili: la popolazione viene invitata, attraverso manifesti, al rispetto di tutte le necessarie precauzioni igieniche; i Carabinieri sono chiamati a vigilare sull’applicazione delle ordinanze in materia di vendita e di consumo di cibi ritenuti nocivi; mancano le medicine, manca lo speziale che avrebbe dovuto arrivare da Sorso e l’unico medico, da solo, non ce la fa ad affrontare quell’emergenza che andrebbe fronteggiata con ben altro personale, ben altri mezzi, ben altre risorse. Alla fine si allestisce anche il lazzaretto, nei locali dell’ex caserma delle guardie, vicino alla torre Aragonese, grazie alla buona volontà e alla solidarietà dei cittadini più facoltosi che mettono a disposizione ogni genere di aiuti, dai letti alle coperte, dalle lenzuola ai pagliericci e tutto quanto può essere necessario per far fronte a quella catastrofe. Si trovano anche, verso la fine di luglio, due medici disposti a trasferirsi a Porto Torres, ma mentre uno, il dottor Gavino Sechi Murru, lo fa con senso di responsabilità, l’altro, il dottor Dionigi Sanna Serra, al momento della nomina, pretende il pagamento anticipato dell’intero onorario di 150 £. per quindici giorni di missione, e presta servizio solamente la mattina del 2 agosto. La sera del giorno dopo, infatti, all’imbrunire, scappa alla volta di Sassari, senza farsi più vedere. Finalmente dopo ferragosto il morbo inizia a scemare. Viene di nuovo consentita la libera circolazione delle persone in entrata e in uscita dal paese, con l’obbligo, però, di una quarantena di cinque giorni presso il lazzaretto per chi decide di soggiornare a Porto Torres per più di un giorno. Alle famiglie è fatto divieto di ospitare forestieri anche per una sola notte, pena una multa di 25 £. Continuano a permanere anche le stringenti misure di carattere igienico a scopo preventivo. A metà settembre finalmente il colera è sconfitto (l’ultimo decesso si registra il 14) e lo stato d’emergenza, decretato all’inizio dell’epidemia dall’Intendente Generale, cessa definitivamente il 10 novembre 1855. Tutta la popolazione esce da quell’esperienza non solo stremata, ma anche decimata: un terzo della popolazione ha perso la vita! L’epidemia di colera ha dato il colpo di grazia ad una comunità composta sostanzialmente da contadini, da pastori e da pescatori. Numeri neppure paragonabili a quelli contenuti in vari studi epidemiologici di questi tempi, numeri di decessi che superno il 30% della cittadinanza concentrati in pochi mesi, in una popolazione la cui aspettativa di vita supera a mala pena i quarant’anni. Il progresso ha sconfitto queste calamità, almeno nel nostro continente, ne ha proposto altre, che vanno affrontate liberandoci da pregiudizi, da paure inconsulte e attuando le precauzioni che la scienza, la tecnica e le norme ci mettono a disposizione. Oggi quei numeri sono impensabili da noi. Solo in Africa, le cui condizioni di vita sono paurosamente arretrate, si affrontano ancora oggi emergenze sanitarie paragonabile a quelle che fino all’inizio del secolo scorso erano la costante anche nel nostro continente. Ebola ne è stato un esempio.
Nata quasi a metà del secolo scorso, ha dato un notevole impulso, giovanissima, all'incremento demografico, sfornando tre figli in due anni e mezzo. La maturità la raggiunge a trentasei anni (maturità scientifica, col massimo dei voti) e la laurea...dopo i sessanta e pure con la lode. Nonna duepuntozero di quattro nipotini che adora, ricambiata, coi quali non disdegna di giocare a...pallone, la sua grande passione, insieme al mare.
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