C’era ieri questa signora alla cassa di un punto Conad di Sassari e la commessa le dice -A chi raggiunge i venti euro di spesa proponiamo un pupazzetto al costo di un euro, il denaro andrà interamente al Pediatrico di Cagliari. -Perché a Sassari non ce l’abbiamo un Pediatrico? E la signora non si accontenta della commessa. Chiede di parlare con un dirigente. La mettono in contatto telefonico con gli ideatori della iniziativa di beneficenza. Gliene dice di tutti i colori ma il senso è nell’ultima battuta -E a Sassari i soldi raccoglieteli per il reparto pediatrico di Sassari. Capito? Quanto mi dava fastidio il campanilismo murale nella città di Sopra. E con sussiego da intellettuale di sinistra guardavo severo – ma con indulgenza verso lo sforzo metrico – lo slogan pitturato in via Torre Tonda “Olbia provincia attaccati alla mincia” e ancora più indignato quello in via Carlo Felice “Cagliari uguale merda”. Non è che ora approvi questo modo di intendere la questione, ma la faccenda del Policlinico Sassarese rigettato da una Regione ospite gradita di una città che tra i tanti stemmi ha pure quello di antica regina della sanità privata, con annessi e connessi di ordine politico ed economico, ecco, questa storia sinceramente mi ha dato un po’ alle balle. Nel senso che siamo arrivati al punto di auspicare un campanilismo del Nord Ovest di Sardegna. Ma non quello becero e piagnone dei due graffiti di prima, bensì uno moderno, ragionevole, non qualunquista, chiamatelo di sinistra se volete (non mi offendo), un neocampanilismo, insomma, cioè una battaglia culturale e politica che allontani da noi una rovina che alla fine coinvolgerà tutta l’isola. Ci ho pensato anche nei giorni scorsi leggendo sulla Nuova Sardegna un articolo di Sandro Roggio sullo squilibrio provocato dalla concentrazione di risorse su Cagliari. Ormai penso che una ribellione politicamente trasversale dei territori del nord ovest contro le politiche della Regione che li esclude dallo sviluppo sarebbe vantaggiosa non soltanto per Sassari, Alghero e Porto Torres ma per tutta la Sardegna. Cagliari compresa. Se una delle gambe di un tavolo si rompe, va giù tutto il tavolo. Una ribellione contro la Regione. E ormai io non intendo più la Regione di Pigliaru, di Cappellacci o di Soru, o la prossima di chissà chi, ma una Regione matrigna, un ente al di sopra dell’immanenza dei mandati elettorali, un’istituzione eterna che si è identificata con la città dove hanno sede i suoi palazzi, non con l’intera Sardegna. Le beffe negli ultimi anni si sono susseguite senza sosta. A esempio l’annuncio della zona franca per la sola Cagliari. Cioè un incentivo fiscale che attirerà gli insediamenti industriali nella zona più industrializzata della Sardegna, dimenticando i 21mila stipendi persi nel Sassarese con la deindustrializzazione di Porto Torres, una tomba economica e sociale sulla quale Regione e Stato anziché quanto meno levarsi umili il cappello, cantano canzonette comiche, quali le bonifiche Eni e la chimica verde. Ancora prima, l’Autorità portuale unica della Sardegna, quando l’allora ministro Del Rio (quello che quando non aveva niente da fare volava qui da noi a inaugurare tra pifferi e tamburi i nuovi dieci metri della Sassari-Olbia) disse che “unica vuole dire più forte” nel compito di sviluppare i porti di tutta l’isola e che “unità non significa dimenticare le diverse articolazioni”. Non so se noi del Nord Ovest siamo un’articolazione. Ma di sicuro ci dimenticano quando ci sono svanziche da mettere in giro. E poi, dopo i mancati aiuti al porto di Porto Torres (e quello industriale è uno dei più grandi del Mediterraneo, con potenzialità immense), la questione dell’aeroporto di Alghero, del quale sembra che enti e persone non vedano l’ora di sbarazzarsi. Dice che dalle parti di Elmas investono un po’ da tutta la Sardegna. E ti credo. Se continua così, quei terreni varranno più di quelli alluvionali dei fiumi Klondike e Yukon ai tempi della corsa all’oro. L’aeroporto di Cagliari si avvia diventare il superaeroporto della Sardegna, un luogo meraviglioso dove ogni cinque minuti partono voli per Roma, per le altre capitali e per le principali città italiane. E Cagliari – direbbe la pubblicità – una città fatata, in un’isola fatata dove puoi stare nel luogo più bello del mondo senza perdere i contatti con il resto del mondo. Se stai a Cagliari, naturalmente, e Sassari attaccati alla mincia, aggiungerebbe il graffitaro maleducato, perché la Sardegna è un rettangolo, come dice Roggio: significa che se tu concentri tutto nel lato minore al sud, quello al nord è troppo lontano per averne anche il più piccolo beneficio. E in questo contesto non so se attendere ansioso il completamento della strada Sassari-Olbia per raggiungere la Gallura in meno di un’ora senza dovere riflettere a ogni incrocio se nel testamento mi sono ricordato di tutti, oppure se attendere con angoscia l’inaugurazione della quattro corsie sapendo che allora cadranno le ultime resistenze per tenere aperto lo scalo di Fertilia: “Tanto in attimo siamo a Olbia”. Ma del resto il “Riordino del sistema delle autonomie locali della Sardegna”, cioè la Città Metropolitana di Cagliari, assorbente unico di ogni rimessa nazionale ed europea, doveva bastare a farci capire che le scelte erano compiute. La desertificazione di gran parte della Sardegna e l’ulteriore impoverimento di un’altra parte sarà la fine della decantata identità sarda che ogni classe politica di turno (ma infine è sempre la stessa) dice di volere difendere. Un Frankenstein, questo riordino, costruito con numeri e accorpamenti artificiali che dirotteranno al Sud, ancora più di prima, popolazioni e risorse. Un mostro creato con protervia, soltanto dicendo: noi siamo i più grandi e ciò che avremo sarà per il bene di tutti. Non mi convince Sassari che obietta “No, sono metropoli anch’io” per godere di qualche lancio di ghiande. E solo pochi ancora oggi dicono che in Sardegna metropoli non ce ne sono, che questa storia del Riordino delle autonomie locali è soltanto il solito espediente per accaparrarsi rimesse pubbliche al Sud. Che vengano dallo Stato, come ai tempi del Piano di Rinascita e della Cassa per il Mezzogiorno, o da questa sempre più incasinata Europa, il gioco è sempre lo stesso. La differenza è che mentre prima c’era una mediocre classe politica diffusa in tutta l’Isola e quindi una spartizione impari ma pur sempre spartizione, ora la classe politica regionale si identifica del tutto con Cagliari e la Regione. Intorno non c’è nient’altro di forte. E’ una legge di natura: “ Ci prendiamo tutto noi”. Unica eccezione, Olbia. Un territorio in crescita, impetuosa e disordinata, ma in crescita, la cui classe dirigente ha un severo mandato di rappresentanza che non può tradire se non a prezzo di essere rimossa. Ma nel resto dell’isola e soprattutto nel Sassarese l’attuale partito di maggioranza mai è stato così unito come quando si è trattato di difendere gli interessi del capoluogo di regione, forse perché ormai l’identificazione fra quegli interessi territoriali e quella classe dirigente regionale è ormai assoluta. Completare il processo di concentrazione di economie e popolazioni verso il Sud dell’Isola è una scelta mortale che, con poche eccezioni, va imputata alle persone che noi abbiamo eletto. E quindi a tutti noi. Le piccole patrie sarde che con i loro tratti distintivi, le peculiarità economiche e culturali hanno costituito la sostanziale unità della regione sono state sconvolte dal centralismo cagliaritano. Il più grave errore della classe dirigente sarda dal dopoguerra. E’ stato un po’ per incoscienza politica e incapacità di programmare e un po’ per storici e ripetuti calcoli a favore degli interessi del Sud. Il risultato è comunque la creazione di un abnorme polo demografico ed economico e che determina e circoscrive a sé, ormai, anche la crescita culturale e politica. Una supremazia malata che divide la Sardegna e il suo federalismo interno. E che porterà alla rovina non solo degli esclusi ma di tutta l’Isola. L’unica strada è quella di pretendere dalla Regione una politica da ente centrale, da istituzione che rappresenti tutta la Sardegna e non da supercomune di Cagliari predatore di risorse pubbliche in nome di tutta l’Isola. E si sa che le risorse sono concentrate negli ambiti delle opere pubbliche, della sanità e dell’edilizia regolata dall’urbanistica. Insomma, spero che nasca un neocampanilismo ragionevole utile a salvare dalla rovina il Nord per salvare in prospettiva l’intera Sardegna. Un movimento politico che serva alla sinistra non soltanto per affrontare le prossime scadenze elettorali, ma per riformarsi davvero intorno a concretezze e non a enunciazioni così à la page e politicamente corrette come il noto “facciamo sistema a livello regionale”, a cui è allegato in omaggio “Dracula”, romanzo gotico che allude allo slogan di cui dicevo condividendone la credibilità.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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