Breve premessa: Giovedi, a Cagliari mi son dovuto recare al pronto soccorso perché Gemma, mia moglie, cadendo rovinosamente, ha battuto fortemente il ginocchio e si capiva, da subito, che l’infortunio era abbastanza serio. Quello che segue è il resoconto anche ironico di quello che da accompagnatore ho vissuto con un certo disincanto, provando a capire la macchina della sanità che, credo, sia davvero molto complicata, così come tutta la “varia umanità” che ci gira intorno.
Dieci regole per sopravvivere al pronto soccorso.
1) Capire subito il contesto e arrivare al pronto soccorso con persona informata dei fatti. Al pronto soccorso, se potete, non arrivateci da soli. Un parente o, meglio, due o tre accompagnatori fanno la differenza. Occupano subito l’accettazione, utilizzano argomenti tra i più pietosi per convincere l’avversario che solo il proprio parente è da codice “rosso”. Strappare un giallo è per queste persone motivo di orgoglio davanti alla folla in possesso di un misero codice verde.
2) Attenzione alle comunicazioni. Al pronto soccorso (parlo di quello del Brozzu, a Cagliari) le comunicazioni sono importanti. Si deve tendere l’orecchio quando l’infermiere chiama dopo l’accettazione. C’è il rischio che qualcuno, furbescamente, si presenti al proprio posto e velocemente entri nella porta magica dove, chiaramente ci sarà il medico che finalmente si occupa di te.
3) Conoscere per demolire l’avversario. Quando ci si siede dentro la masnada di persone che aspettano, occorre un atteggiamento non comprensivo, ma concorrenziale. Bisogna capire perché si trovano in quel luogo, quale motivo li ha spinti a chiedere un intervento “urgente”. Ascoltare con attenzione e demolire, subito, il malore degli altri. Cosa vuoi che sia un mal di testa a grappolo di una persona che non dorme da una settimana o un ascesso proprio lì, dove non ci permette si sederci anche per giorni? Il nostro malanno è unico e deve essere ben raccontato e ben costruito. Dobbiamo convincere l’avversario prima dell’arbitro.
4) Denigrare sempre il servizio pubblico. E’ un passaggio fondamentale. Sarete quelli più ascoltati e con più consenso: “La sanità è uno schifo, non funziona niente, veniamo trattati come bestie, non è possibile che siamo qui da ore e nessuno ci ascolta.” “Si rischia di morire ma a nessuno interessa”. C’è anche il corollario razzista che funziona sempre: “neanche i negri”. Ecco, a nessuno viene in mente che se ci si presenta in cento al pronto soccorso per malanni che vanno dall’influenza estiva, al callo del piede destro, all’ascesso, al mal di testa che non passa, alla spina di riccio, l’autostrada si intasa e si rischia, tra l’altro, di non far passare l’ambulanza, quelli con il codice rosso.
5) Sperare che non arrivi mai un codice rosso. E’ come un tifo da stadio. Il computer sciorina i dati degli interventi e aggiorna, in tempo reale, di cosa si stanno occupando i medici. Chiaramente in base alle priorità. Quando nel monitor appare la scritta “codice rosso in arrivo” è come subire un gol al novantesimo. La depressione colpisce tutti quelli in attesa perché sanno, purtroppo per loro, ma per fortuna del malcapitato, che il pronto soccorso si occuperà del codice rosso e non di loro. A questo si aggiunge il corollario populista che acchiappa i consensi “Eja, codice rosso, di legno. Magari è un politico con un mal di denti”; “ma chi li decide questi codici? Bisogna verificare, ci vogliono i controlli, sono sempre loro che decidono.” E, chiaramente tutto “è uno schifo”.
6) Provare diverse opzioni nei diversi ospedali. Al Brozzu, tra i malati da codice verde ma, chiaramente convinti di essere “rosso”, ci sono veri e propri maratoneti che hanno provato anche altri “pronto soccorso”. E raccontano le loro disavventure. “al Marino neppure ti ascoltano”, al SS. Trinità mi hanno dato il codice bianco che devo pagare il ticket, una vergogna.”. Nessuno prende la parola per provare a chiedere: “Scusi, ma se lei è così grave, come mai riesce a girare tra gli ospedali della città? Ma, soprattutto, perché tutti continuano a dargli un codice che, al massimo, è verde? Vuoi vedere che hanno ragione?
7) Conoscere i protocolli. Al pronto soccorso le regole sono regole. Non si scherza. Se hai bisogno di una sedia a rotelle devi chiederla al commesso, il quale avviserà un infermiere che chiamerà un portantino, che porterà la sedia. L’infermiere poi sarà autorizzato ad andare dal medico di turno, il quale ti visiterà e in base a quello che dici sentenzierà: ortopedico. E solo allora andrai nel reparto ortopedia. Mi sono subito chiesto: ma ci sarà qualcuno che accusando un dolore al petto è stato inviato in ginecologia? Il problema è che i protocolli sono molto rigidi. Se non sei ricoverato, per esempio, non puoi fruire di prestazioni infermieristiche e le punture non si possono iniettare. Solo il medico può, eventualmente autorizzare.
8) Attenti alle parole e alle scritte. Quando siete davanti al cospetto del medico, scandite molto bene quello che avete. Lui vi ascolterà e scriverà tutto su una cartella che consegnerà all’infermiere. Subito dopo sarete chiamati, anche più volte, e cortesemente vi diranno “Venga, non si preoccupi”; “Scusi non posso camminare, sono sulla sedia a rotelle”. “Come sulla sedia a rotelle? Lei ha una sospetta frattura al braccio destro”. “No, guardi, ginocchio destro”. “C’è scritto braccio”. Ecco, state sempre attenti a ciò che viene scritto e provate a convincere l’interlocutore sulla bontà del vostro dolore al ginocchio destro. Con troppo lavoro ci si può distrarre.
9) Armarsi di spiccioli. Sembra una sciocchezza ma senza spiccioli al pronto soccorso non potete utilizzare le macchinette che forniscono bevande, panini e caffè. Ne avete assolutamente bisogno perché sosterete in quell’androne per almeno otto ore. Non ci sono, chiaramente, cambia monete e difficilmente ci sarà qualcuno, disposto a cambiare. Ricordatevi che avete davanti avversari, che sperano ve ne possiate andare, così possono guadagnare un posto.
10) Portarsi la spina per il telefonino o le batterie ricaricabili. Ho visto gente che, a sera, ormai al tramonto, aveva gli occhi lucidi. Quasi piangeva guardando lo schermo del suo smartphone. Stava per morire. Facevano con disperazione l’ultima telefonata, come se fosse quella concessa al condannato a morte. Non avevano più batteria.
Ecco, se riuscite a comprendere tutto questo riuscirete a sopravvivere. Sappiate però che al pronto soccorso lavorano persone disponibilissime, professionalmente molto preparate che fronteggiano, tutti i giorni, orde di pazienti poco pazienti e mal disposti. Ognuno del suo dolore ne fa “il dolore” e della sua malattia “la malattia”. E’ comprensibile. Converrebbe, però, non esagerare. Gemma, mia moglie, dopo otto ore è stata ingessata perché ha subito, nella caduta, la rottura della rotula. Ne avrà per un mese. Ma questo, con il pronto soccorso non c’entra.
Giampaolo Cassitta
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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