I migranti ci rubano il lavoro. Ci rubano il lavoro di mendicare. Non li avevo ancora visti chiedere dei soldi in cambio di niente. I migranti hanno una dignità che voi razzisti non potete capire. Se fossi intriso di pietà cristiana vi direi che per questo mi fate pena. Ma essendo profondamente laico, pur con un certo ribrezzo mi rivolgo a voi per spiegarvi che, sino a qualche mese fa, quegli oggetti che vi offrivano per pochi spiccioli, quelle buste Conad pesanti di ogni ben di dio che si offrivano di portarvi sino al portone, quel posto auto che loro fingevano di avervi riservato nel parcheggio, tutto ciò per loro era lavoro. Dignitosissimo lavoro, l’unico che avevano trovato per giustificare la loro presenza qui e per tenere carica la scheda del telefonino. Già, quel telefonino che fa dire a molti di voi coglioni: “E’ un morto di fame però c’ha il telefonino ultimo modello”. L’ultimo modello è una tua fioritura, stronzo. In quanto al telefonino, è la bisaccia con pane e vino annacquato che permetteva ai nostri emigranti italiani di sopravvivere nel Sud degli Usa dove ogni tanto li ammazzavano insieme ai negri; o in Belgio quando non trovavano posto in miniera. Il telefonino è il legame con la vita da cui sono fuggiti e a cui sperano un giorno di tornare ed è lo strumento con cui stare in contatto con chi fornisce loro gli oggetti da vendere, indica gli angoli di strada in cui stare o non stare e le topaie dove andare a dormire. Ma ora i nuovi arrivati non hanno neppure quello. Non hanno nulla da vendere. Sono abusivi, stanno in angoli di vie dove posso essere scacciati in qualsiasi momento perché sono fuori dal giro. Un po’ come quando una donna disperata si ferma per vendere il suo corpo sotto un lampione gestito da un protettore che non è il suo. Quindi, ai nuovi arrivati, a quelli dei barconi, a quelli che bisogna respingere a cannonate, a quelli che ci rubano il lavoro, non resta altro che mendicare. Cioè chiedere soldi senza neppure fingere di darti qualcosa in cambio. Ed è un’umiliazione che io leggo nei loro occhi. Ogni giorno lo sguardo basso di quel ragazzo nero seduto sotto il muretto di casa mia, quelle mani che giunge quando lascio cadere il resto del caffè o dei giornali nel bicchierino di plastica che tiene davanti a sé, sono un atto di accusa al mio benessere basato su petrolio, gas, cibo e tante altre ricchezze tolte anche a lui. Gli ho chiesto di non giungere le mani e inchinarsi davanti a me per i miei cinquanta centesimi di euro. Mi fa stare male. Mi ha guardato senza capire e ho lasciato perdere. Anche perché ho scoperto che c’è qualcuno di voi, pezzi di merda, che mette a correre una monetina per il gusto di vedergli fare quella pantomima pietosa. E ha portato anche il figlio a divertirsi: “Dai che andiamo a farci adorare dal negro”. Non ti auguro niente perché non meriti neppure un vaffanculo.
Cosimo Filigheddu
In questa categoria sono riuniti una serie di autori che, pur non facendo parte della redazione di Sardegna blogger collaborano, inviandoci i loro pezzi, che trovate sia sotto questa voce che sotto le altre categorie. I contributi sono molti e tutti selezionati dalla redazione e gli autori sono tutti molto, ma molto bravi.
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