Certo, le parole sono importanti, ma siamo davvero così sicuri che occorreva un emendamento nella legge sulla semplificazione approvata alla Regione Sardegna per declinare le professioni al femminile? Insomma, di tutto c’era bisogno ma non di una legge regionale che ci obbligasse a declinare la comunicazione istituzionale in «Sindaca», «consigliera», «prefetta», «assessora», «commissaria» quando a ricoprire quella carica è una donna. L’emendamento, passato in Consiglio Regionale, è dell’avvocato Annamaria Busia (pardon, avvocata) che ha subito puntualizzato: «Perché avvocata è brutto e invece maestra e impiegata no? La verità è che il nome del mestiere declinato al femminile diventa cacofonico nella misura in cui si avanza di livello nella scala professionale». Sarà, ma permettetemi di non essere d’accordo al di la di quanto possa raccontarci l’accademia della Crusca. Facile prevedere richieste di cambi al maschile di mestieri declinati al femminile: odontoiatro, dentisto, fisiatro, farmacisto giusto per citarne qualcuno già in voga nell’agorà di internet (ma se agorà lo dice un maschio dovremmo chiamarlo agorò?). Il problema, almeno ritengo, è un altro: tutti a guardare il dito (o la dita, nel caso di una sindaca) e nessuno la luna (o luno, a seconda di chi declina). Non è il nome a fare di un sindaco una persona adatta a quel mestiere. Sarebbe opportuno che in un paese dove tutti siamo dottori di qualcosa provassimo, almeno una volta, a scrivere leggi chiare e semplici che servano al paese. Se poi a scriverle è un onorevole o un’ onorevola è solo un dettaglio.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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