Si comincia ad avere paura dell’acqua. La senti di botto alle quattro del mattino che irrompe dentro i tuoi sogni di fine estate. Ti alzi e cominci ad osservare quella pioggia battente che lava e poi si incunea negli interstizi dell’anima. L’acqua che è vita, che è mare, dolcezza e sinuosità. La senti battere sulle tegole e sulla plastica dei terrazzini e pensi che prima o poi smetterà. Un acquazzone è qualcosa di normale, legato alla stagione dentro quest’aria gonfia da giorni di terribile umidità. Così cominci ad attendere e sperare che tutto questo possa finire, che quell’acqua sia l’inizio e non la fine, il punto di partenza per ammorbidire la terra. La semina, l’attesa ed il raccolto. Il ciclo della vita in mano all’acqua. La sete che si placa, le gocce che ci accompagnano tra le lacrime e la vita. Riusciamo quasi sempre a modificare gli assetti, a girovagare nel buio delle nostre scelte, a credere che le parole abbiano sempre lo stesso senso. Acqua che è vita, azzurro, allegria, dolcezza e fragranza, acqua che sgorga e ci disseta, di acqua siamo fatti e grazie all’acqua continuiamo a restare su questa terra; invece quell’acqua diventa temporale e bomba d’acqua, uragano e maremoto, diviene acqua che sommerge e ti rapina. Un’acqua cattiva e infima. Però, a guardare bene sempre dalla parte delle radici, non è l’acqua la responsabile dello sfascio ma siamo noi che abbiamo cominciato a pasticciare tutto nella lavagna della terra. E quell’acqua è solo il risultato di ciò che noi, contro tutti, abbiamo modificato.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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