C’è stato quell’ultimo grottesco eccidio sotto le piramidi. Una sparatoria ed ecco impacchettati i cadaveri degli assassini di Giulio Regeni: delinquenti comuni, il regime non c’entra. Con l’implicito messaggio: “E ora la vogliamo finire con queste sciocchezze e riprendiamo a fare affari?”. Gli è andata male perché il gioco era troppo sporco. Magari però impareranno a costruire una copertura come si deve, al livello dei gusti di una moderna civiltà occidentale, e allora potremo fingere di credere che giustizia è stata fatta. E io penso a quel Primo Levi che ormai si cita anche in prima elementare a ogni commemorazione dell’Olocausto: “E’ avvenuto e quindi può avvenire di nuovo”. Ci penso perché proprio in questi giorni di primavera, nel 1977, le madri dei desaparecidos dell’Argentina ebbero per la prima volta il coraggio di marciare in Plaza de Mayo, dove si affaccia la Casa Rosada. E ricordo come in quegli anni la mia Italia si coprì di vergogna ignorando la denuncia di quelle madri a Buenos Aires. E non solo la nostra classe politica, ma anche i nostri giornalisti, i nostri intellettuali, i nostri industriali e i nostri banchieri. Videla aveva preso il potere un anno prima e in un anno aveva già fatto torturare e uccidere migliaia di quelle decine e decine di migliaia di oppositori veri e presunti i cui corpi scomparsi gettano ancora un’ombra sinistra su tutti i complici di quell’infamia. Pochi anni prima c’era stato il colpo di Stato in Cile e la repressione bestiale e manifesta di Pinochet aveva costretto molti governi europei, pressati dall’opinione pubblica, a prendere le distanze. I generali argentini avevano capito la lezione e si erano costruiti una sottilissima patina di credibilità democratica, quel tanto che era sufficiente a consentire a chi voleva crederci di aiutarli a coprire un vero e proprio genocidio. Prelevavano chi volevano, torturavano e poi facevano scomparire i corpi nei modi più diversi. Il più noto è quello dei “voli della morte”, quando da aerei militari e civili li facevano cadere in pieno Oceano Atlantico o nell’immenso Rio della Plata. Si pensa che alcuni di quei martiri durate il volo fossero ancora vivi. La prima marcia delle madri di Plaza de Mayo in quella primavera fece crollare lo schermo della vergogna. C’era una denuncia precisa, a poco a poco venne fuori tutta la verità. Ma le complicità continuarono. In prima fila gli Stati Uniti che sin dall’inizio con Kissinger e la Cia avevano in ogni modo promosso e appoggiato le più sanguinarie dittature sudamericane. E’ nota l’Operazione Condor, l’accordo tra Cile, Argentina, Bolivia, Brasile, Perù, Paraguay e Uruguay per l’eliminazione fisica della sinistra con il coordinamento dei servizi degli Usa. Ma anche l’Italia fece la sua parte. La fece persino negli aspetti più rivoltanti di questo eccidio, quelli che riguardavano i bambini. Centinaia di figli di questi “sovversivi” vennero tolti alle famiglie e mentre i genitori venivano trucidati, i bimbi venivano dati a famiglie fidate perché li crescessero “secondo i valori occidentali e cristiani”. Molte prigioniere incinte vennero tenute in vita sino al parto e poi uccise mentre i neonati venivano spediti in giro per l’Argentina e per il mondo. Alcuni finirono anche in Italia, attraverso canali gestiti dalla P2 di Gelli ma che incrociavano le istituzioni civili e si sospetta anche quelle religiose. Il primo a denunciarlo fu il presidente Sandro Pertini nel 1982. Ma questo fu un aspetto schifoso eppure minore dell’appoggio italiano a quella dittatura. I governi di quegli anni, in particolare quello presieduto da Andreotti e con Forlani agli Esteri, misero gli interessi economici dei poteri italiani davanti al dovere di opporsi alle degenerazioni naziste di qualsiasi regime. Sin dai primi giorni del golpe vennero osteggiati e trasferiti i dipendenti dell’ambasciata italiana che accoglievano i fuggitivi. Le grandi testate giornalistiche complessivamente non diedero agli italiani una informazione compiuta su ciò che accadeva. Ci furono addirittura polemiche sul fatto che il Corriere della Sera avesse fatto rientrare un suo giornalista sgradito perché ciò che scriveva cominciava ad avvicinarsi alla terribile verità. In quegli anni entrò in crisi il concetto di indipendenza reale delle nazioni a favore delle dipendenza dagli interessi economici. Quali erano i veri rapporti tra un regime sanguinario e per di più culturalmente ed economicamente arretrato quale quello dell’Argentina e una democrazia avanzata quel era quella italiana? Una volta disinnescata la pressione popolare con l’arma del segreto e quindi della disinformazione, il governo e il ministero degli Esteri poterono attuare una politica di sostanziale appoggio. Ma non fu solo l’apparato diplomatico della Farnesina a fare girare il volano del consenso o quanto meno della remissiva accondiscendenza, ci furono anche quelli dei ministeri dell’Industria, del Commercio con l’estero, dell’Agricoltura. E le grandi multinazionali pubbliche: Eni, Finmeccanica, Alitalia e Bnl. In un vortice di interessi che coinvolgeva nella stessa misura anche quelle private: Fiat, Olivetti e Pirelli. E adesso quindi mi chiedo se quanto è già avvenuto possa avvenire ancora. Se gli egiziani dovessero escogitare qualcosa di un po’ meno incredibile e tragico di quei cinque morti ammazzati “delinquenti comuni”, l’Italia avrà la tentazione di crederci? Ancora una volta gli interessi del sistema produttivo e finanziario saranno più forti della difesa dei diritti dell’uomo? Il senatore Luigi Manconi, in prima fila da anni nella difesa dei diritti umani, chiede che il nostro ambasciatore al Cairo venga subito richiamato in Italia. Un gesto di alto valore simbolico e di effettivo peso diplomatico che costringerebbe l’Egitto a una resa dei conti. Manconi ancora non ha avuto risposta. Questa volta l’opinione pubblica è informata e il governo non può permettersi un discredito che annullerebbe ogni possibile vantaggio economico portato dalla scelta di cancellare la storia di un italiano torturato e ucciso in una terra straniera. Tuttavia i cinque miliardi di affari ufficiali con l’Egitto, oltre all’incalcolabile massa di denaro che naviga sul canale di Suez e sui mari del turismo, potrebbero finire per pesare più di ogni condanna morale. La gestione scomposta e strumentale del neo terrorismo, ancora prima le vicende legate all’immigrazione, ma soprattutto l’artificiosità di questa lunga crisi più finanziaria che economica che allarga il divario tra ricchi e poveri dimostrano che il coraggio e l’etica politica non sono in cima alla scala di valori della classe dirigente europea. Speriamo che queste categorie morali siano risalite di qualche posto almeno rispetto ai tempi dei torturatori argentini con i quali facevamo affari.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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