«Paola, sei più buonista dei buonisti – mi sono sentita dire – insomma, una buonistissima». Il superlativissimo casca a fagiuolo. E tutto perché si ragionava su questa Italia razzista. Lo è sempre stata? Lo è ora improvvisamente per una realtà percepita in maniera distorta? Qualunque sia la risposta, ho semplicemente detto che per me è sbagliato chiudere il dialogo coi “razzisti” e il virgolettato sta a significare che non è da una frase buttata lì che scovi il razzista. Tanti che se ne escono con espressioni infelici e intolleranti, in realtà non lo sono. Perlomeno così ho constatato anche quando, presso un’associazione, facevo parte del front office per ascoltare, per accogliere i racconti di chi subiva le ingiustizie e non poteva permettersi un avvocato. Era l’associazione a farsi carico delle spese legali. Lì incontravi le persone più disparate e più disperate. Dalla mamma sudamericana che si sfogava perché non poteva curare la figlia con una grave malformazione ai denti e diceva che, nel suo Paese, le cure odontoiatriche giustamente le passava lo Stato e che “l’Italia è vergognosa nel tutelare noi deboli” (“noi deboli” dovrebbe essere il punto di partenza su cui ragionare senza altre distinzioni). C’era chi aveva perso il lavoro a 50e passa anni e i sempre più frequenti pensionati che rischiavano di perdere la casa “perché le case le danno prima agli extracomunitari”. Non è che potevi metterti a postillare su frasi dalle sfumature razziste o, peggio, deriderli per la semplificazione. E onestamente nessuno di noi ha mai pensato che ci fosse altro, negli occhi angosciati di quelle persone, che non fosse disperazione, senso di impotenza per non sentirsi ascoltati. Purtroppo è in quelle ferite che, una certa politica, trova la breccia per insinuarsi e scompigliare gli animi. Così come non credo ci sia del razzismo nelle frasi dei soci del circolo Benassi di Bologna. C’è caso e caso. Le persone si raccontano con la loro storia e le loro azioni. Ascoltandone il racconto dovremmo filtrare ma con una maglia non troppo stretta, non focalizzarci sulle scivolate e lasciar stare i giudizi.
Capisco, è normale, temere che ora i razzisti, quelli veri, escano come lumache dopo la pioggia perché si sentono legittimati. Ma non confondiamoli, non facciamo di tutta l’erba UN FASCIO. Perché invece c’è tanto da lavorare e recuperare. E non recuperare voti ma persone.
Quando alla sinistra si è rimproverato più volte di non scendere più tra la gente, non s’intendeva certo riempire le piazze acclamanti per pogare sui fan. Significava proprio andare a recuperare chi, pian piano, si è sentito abbandonato e talvolta deriso. Per deridere ci vuole poco, basta semplificare. Esattamente come fanno quegli altri là. Avete presente certe trasmissioni che per anni hanno giocato nel consegnare il microfono alle persone che nelle piazze urlavano “ci rubano il lavoro”. Queste frasi preconfezionate erano state ideate strategicamente da chi per anni ha coltivato l’odio. E l’errore è stato quello di rispondere alle frasi fatte e alle semplificazioni, nella stessa maniera. Con lo stesso metodo. Sentirsi dire, quando sei realmente e disperatamente in cerca di qualsiasi lavoro: Gli italiani non vogliono più fare certi lavori vuol dire pigiare (coi piedi possibilmente) una già profonda disperazione. Perché diciamocelo, nell’immaginario la persona che non vuole fare “certi lavori” è un giovane, possibilmente un bimbominkia, munito di iPhoneX che usa per informare sui social quanti spritz ha assorbito. E lo fa tra un insulto becero e l’altro. Hater indinniati la cui unica ingiustizia subita è quella di aver trovato una Smart in un parcheggio apparentemente vuoto. La realtà, manco a dirlo, è LEGGERMENTE più complessa. Esistono invece persone ricattabili. E più sei ricattabile più quel posto te lo prendi come viene. E a ben guardare, non si offre un lavoro, perché in ogni lavoro devono coesistere la tutela dei diritti, la giusta retribuzione e il rispetto della dignità. Quando mancano, non puoi più chiamarlo lavoro.
E se rispondi con questa leggerezza, sei sullo stesso piano degli odiatori e non c’è verso di seguire un ragionamento, otterrai solo lo scontro. E valli a recuperare poi. Ecco perché secondo me deve esistere il dialogo anche quando è impegnativo. Ci sono giorni in cui non tollero democraticamente nessuno, neanche me stessa. Ma anche in quei giorni, il rispetto per chiunque e l’apertura al dialogo (che è predisposizione all’ascolto, in primis), li tengo a mente. Buonistissima? DemoCristiana (anzi, magari DemocrAtea)? Ma non esageriamo, perché se vi venisse in mente la frase che a lungo si è attribuita a Voltaire «Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo» Ecco. Fino a questo punto, no.
Sparo pixel alla rinfusa, del resto sono nata sotto un palindromo (17-1-71), non potevo che essere tutto e il contrario di tutto. Su una cosa però non mi contraddico «Quando mangio, bevo acqua. Quando bevo, bevo vino» (cit. un alpino)
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