Pioggia in arrivo. Per tanti anni, alla fine dell’estate, pioggia in arrivo significava la fine della siccità estiva, (peraltro quest’anno terribile, tanto da aver prosciugato bacini idrici e seccato foreste), significava l’arrivo del fresco, dell’autunno, la fine del rischio di incendi. La “pioggia in arrivo” oggi, invece, è una nube oscura portatrice di distruzione, terrore e morte. Non passa perturbazione che non lasci, in giro per la Sardegna, per l’Italia e l’Europa, uno strascico di devastazioni e vittime. Com’è stato possibile, per l’umanità, trasformare il naturale ciclo vitale delle cose in una prospettiva angosciante? Com’è stato possibile mutare la stessa connotazione semantica di una parola che, fino a ieri, richiamava l’idea dell’auspicio, tanto da essere invocata con danze e canti? Dalla danza della pioggia all’allerta meteo: gialle, arancioni, rosse. In questi giorni, la Sardegna è stata attraversata da un ciclone, una sorta di mostro formato dallo scontro di due perturbazioni, che si sono unite proprio sopra l’isola iniziando a roteare. Giunto a Olbia, il ciclone ha alluvionato diversi quartieri della cittadina, che ormai, a causa della sua tumultuosa espansione edilizia, è diventata uno dei maggiori punti critici dell’isola. Mi è stato domandato, tuttavia, come sia stato possibile che lo stesso ciclone abbia fatto danni maggiori in Corsica e nel sud della Francia. I francesi, infatti, hanno avuto tutto il tempo per prepararsi all’evento, avendo visto quello che la perturbazione aveva fatto in Sardegna. Si potrebbe ragionare in termine di efficienza delle diverse protezioni civili. L’Italia è storicamente un paese abituato alle emergenze, ai terremoti, alle frane, alle alluvioni, alle valanghe, agli incendi, molto più che altri paesi. La Sardegna poi, avendo un apparato antincendio capillare e collaudato, deve solo convertirlo per l’evenienza. In pratica gli stessi mezzi dei Vigili del Fuoco, Corpo Forestale, Ente Foreste, Protezione Civile, sono idonei allo spegnimento ma anche, commutandoli, nell’aspirazione dell’acqua dai locali allagati. Subito dopo l’alluvione, Olbia è stata letteralmente presa d’assalto da decine e decine di mezzi che hanno svuotato tutti i locali sommersi e pulito le strade dal fango in soli due giorni. Tuttavia, credo che nella tragedia degli oltre 20 morti in Costa Azzurra vi sia dell’altro. E’ chiaro che il motivo di queste alluvioni risiede nel fatto che è l’uomo ad occupare con le sue costruzioni gli spazi naturali dell’acqua, e non viceversa. Ma nel momento in cui viene giù il cielo, non è che puoi progettare un piano di risanamento urbanistico per salvare la gente, ci devi pensare prima. Però si possono salvare le vite umane se si ascoltano le disposizioni improntate alla prudenza. Quando si prevede una forte perturbazione, e il rischio di una alluvione, si devono seguire alcune regole molto semplici. Primo: non uscire di casa. Secondo, mettersi al rifugio nei piani alti delle abitazioni. Si aggiunga: la macchina, se non te la sei spostata prima in parcheggi sicuri, durante l’alluvione, lasciala perdere. Gli avvisi della protezione civile sono come quelli che alla fine ci si fa sopra le barzellette, a furia di sentirli ripetere. Alla fine il cervello si assuefa. Ricordate i giorni delle polemiche, contro questo o quel sindaco per la chiusura delle scuole, o contro la Protezione Civile, rea di aver ecceduto nello scrupolo con i vari allarmi? Bene, a Olbia nessuno ha polemizzato, perché spesso occorrono le tragedie per imparare qualcosa. Tutta la macchina della prevenzione, stavolta, si è mossa con grande solerzia. E quando è arrivato il ciclone, tutti sono rimasti a casa nei piani alti. Un ciclone che non era devastante come quello di due anni prima, ma che avrebbe fatto ugualmente parecchie vittime. C’è un meccanismo antropologico che risiede nei recessi primordiali della mente umana. Quando il bambino si brucia, la parte più istintiva del cervello registra tutto. La volta successiva, appena la vista scorge il forno, giunge alla mente un segnale di paura, e il bambino capisce che non deve più toccarlo. Fin dai primi anni di vita, perciò, si forma la coscienza del pericolo che perdura tutta la vita. E’ un meccanismo antropologico odioso, che crea ansia, angoscia e panico. Ma talvolta ti salva la vita.
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo.
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