E così anche il vecchio leone ha emanato l’ultimo ruggito. Pietro Ingrao, forse l’ultimo dei veri comunisti italiani è morto. Era nato nel 1915 e ha utilizzato la sua lunga vita nell’impegno per una lotta forte, vera, sempre a sinistra. Coerentemente. Ha attraversato la guerra, è stato partigiano, amante del cinema e della poesia, deputato e presidente della Camera nei giorni lividi di questa democrazia. E’ stato lui a vivere, da presidente, i maledetti giorni di Moro. E’ stato lui ad essere tempestato dal dubbio, lacerato da alcune certezze che parevano monolitiche, come la mamma Russia. E’ stato lui a non essere d’accordo con Occhetto e, infine, ad abbandonare quello che il PCI era diventato. Personalmente lo ricordo per la sua faccia ruvida, seria, quasi imperiosa, per quegli abiti nocciola, color partito comunista. Con pochi sorrisi. Aveva la schiena dritta e l’ha mantenuta per cento anni. Non è stato facile. Ma, come dice il titolo del suo libro “volevo la luna” era un uomo che non si accontentava. Ecco, davanti a quelle rughe intense, a quel pensiero cristallino, a quel silenzio intenso i politici di oggi sembrano essere piccole comparse. Da qualsiasi parte del palcoscenico si trovino. Pietro Ingrao ha attraversato questo lugno secolo con un grande abbraccio, rosso come il cuore.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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