Con mia moglie eravamo seduti su un gradino di lato sotto il colonnato di Bernini e ci guardavamo di sguincio la facciata di Maderno lasciandoci travolgere dalle ondate bianche di barocco romano che venivano da tutto intorno e che fanno un effetto risacca particolare, come il ponentino che va e viene nei crepuscoli delle trattorie con i tavolini sui marciapiedi. E c’erano nostre figlie, ancora piccoline, che a loro San Pietro ancora le annoiava e guardavano la gente. E tra la gente c’era una suora. Suora strana. Perché aveva il cappello ad ali di quelli antichi, che alle suore già allora non glieli vedevi più, e un vestito curioso, sdrucito, proprio misero, e un viso a grinze che sembrava Teresa di Calcutta con occhi appena più problematici. Le bambine la fissano e noi due grandi, educati e perbene, cominciamo a dirgli di non fissare la gente perché non sta ben… ma a un tratto quella suorina vecchina e piccolina balza come un gatto, acchiappa un piccione e in un amen gli tira il collo. Proprio lo prende e lo ammazza in un secondo, con una destrezza che rivela una lunga pratica e lo ficca in una bisaccina da frate che porta appesa a un cordone legato intorno alla vita. Con mia moglie ci guardiamo con la bocca tanto spalancata che sembra la Bocca della Verità e da un momento all’altro uno ci può ficcare la mano dentro per testare se è bugiardo o sincero. Mie figlie, devo ammettere, sono più ammirate dall’abilità predatoria della suora e liete dell’improvvisa distrazione dalla noiosa contemplazione seicentesca, che impietosite per il piccione. E alla fine, però, un unico stupore ci unisce tutti quando la suora, infilate la mani in bisaccia, estrae a metà il piccione e comincia a spennarlo. Una sapienza che non ti dico. Sembra signora Adriana quando regalava una gallina a mamma e per educazione, per dargliela pronta all’uso, gliela la spennava davanti e da piumosa e morbida che era, in un battibaleno diventava carne da tegame. A questo punto, sarà perché qualche piuma scappa dalla bisaccia e finisce sul selciato, arrivano due signori ben vestiti, alti, con gli occhiali da sole e movimenti sicuri e coordinati. Due sbirri in borghese, non so se italiani o papalini, comunque professionali. Sorridono alla suora, sono in confidenza, la conoscono, si vede, e piano piano la allontanano, senza toccarla, sempre con il sorriso e ce ne accorgiamo soltanto noi e i pochi altri che casualmente sono lì vicino. Chi era? Boh. Una vera suora, credo proprio di no. Una vagabonda, certo. E il piccione spennato? Era fame o follia? E chi lo sa? E chi se ne frega, soprattutto. Se esci dal tuo mondo piccolo, ne vedi di cose così. Ci sono fame e miseria, c’è follia, c’è gente strana e gente comune. E c’è anche una donna bianca che nei portici di Bernini acchiappa un piccione, gli tira il collo e lo spenna in mezzo alla gente. Poi può succedere che due sbirri che sanno fare il loro mestiere in uno Stato democratico sanano con sapienza la ferita al decoro, senza fare male al nessuno e riducendo lo scandalo all’essenziale, la vita è anche così, ma non vi spaventate, lo Stato c’è per questo. E può anche succedere che se il piccione lo spenna uno nero nero il ministro dell’Interno in pectore si metta ad aizzare la gente anziché tranquillizzarla come quei due sbirri e a fare casino come neppure le mie figliolette piccoline aveva fatto a Roma con la finta suora. Sarà che a quelle, non per vantarci, ma mia moglie e io un po’ di buona educazione gliel’abbiamo data.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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