Essere antifascisti e respirare a pieni polmoni lo spirito della Liberazione, oggi, ha un senso che ci viene ricordato dalla cronaca di giornata, casomai qualcuno pensasse a stantie rievocazioni formali. Io mi sento antifascista e condivido lo spirito della Liberazione perché mi indigna l’esultanza di chi ha provato soddisfazione nel leggere del malore al Presidente Giorgio Napolitano, augurandosi la sua morte. Il mio antifascismo è soprattutto rispetto della vita, contro ogni totalitarismo e ogni violenza fisica, oltre ogni logica di parte. Inorridisco oggi nel vedere che c’è gente che gode dell’agonia di un vecchio, così come inorridisco nel vedere quei cadaveri penzoloni in Piazzale Loreto, in quell’aprile del 1945. Non mi importa se a pendere a testa in giù dalla forca era il fondatore e il capo del fascismo: era un uomo e dei suoi crimini non si poteva far giustizia massacrandolo ed esponendone il cadavere. Non c’è antifascismo in quella violenza spettacolare, non c’è la Liberazione nella quale mi riconosco. Chi spera nella morte di un vecchio, oggi, ha la stessa ferocia di quella folla di Piazzale Loreto. Senza avere neppure un briciolo delle ragioni di quella folla.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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