Io odio quelli buoni. Fanno il nido dappertutto. Te li ritrovi su Facebook che commentano i grandi drammi di cronaca e i fatti sociali più rilevanti dal loro punto di vista così quantoèumanolei, pieno di comprensione e senso di sacrificio. Tutti ragionieri del giudizio, che sanno assolvere assassini e altre compagnie di giro con un cipiglio tale che in realtà li stanno condannando. Io, sinceramente, dovendo ammazzare qualcuno poi preferirei la forca al pat pat sulle spalle di questi buoni da network. Anch’io sono buono. Figuriamoci. Ma non lo vado a dire in giro. Anzi, sono convinto che i cattivi puri non esistano. Un po’ come Grillo, che secondo me alla svolta parafascista del suo neopopulismo non ci crede neppure lui, ma gli serve fingere per recuperare un po’ di consensi. Dice, ma poi ne perde da un’altra parte. Boh, non lo so se è vero. Io sono rimasto fulminato da quella frase di Trump: “Incredibile, potrei scendere in strada a sparare contro la gente e non perderei neppure un voto”. E’ vero, accidenti. Il vento del populismo ha origini e direzioni strane. Comunque dicevamo dei buoni e ieri notte passando in piazza d’Italia di nuovo mi sono chiesto se davvero il sole sorge dietro il palazzo della Provincia e di nuovo ho pensato a quella volta di tanti anni fa che mi sono rotto i coglioni e ho fatto il cattivo e così facendo ho salvato la pelle a uno che si stava consumando dietro una piccola disgrazia esistenziale. Ero giovane, c’era ancora il vecchio gruppo di amici, quasi tutti erano ancora all’università, io ero uno dei pochi che già lavoravano. E sodo. La notte staccavo alle 2 o alle 3 e spesso la mattina dovevo essere alle 8,30 a Palazzo di Giustizia per seguire qualche processo importante che non ne potevi perdere neppure una battuta. Perché allora certi processi erano eventi teatrali, che rendevi proprio con un linguaggio teatrale, indicando le parti e facendo le didascalie con le indicazioni sceniche, e raccontavano tutto ciò che emergeva dalle nebbie di istruttorie molto più inviolabili di quelle di adesso. Insomma, uno di noi aveva avuto un problema di donne. All’inizio sembrava una sciocchezza e invece prese a precipitare, a precipitare, a precipitare sino al punto che cominciammo a temere che la sciocchezza volesse farla lui. Allora scattò la socialità buonista e cominciammo a darci i turni per non lasciarlo solo. Io a dire il vero di turni di assistenza avevo poco tempo per farne. Ma un giorno mi fregarono dandomi il compito di fargli compagnia dalla mia fine lavoro sino a che lui non avesse preso sonno. Diedi quindi il cambio al precedente assistente intorno alle 3 di un mattino di inverno. Feci salire il depresso sulla mia macchina e posteggiai in piazza d’italia. Allora si poteva salire sul marciapiedi e si puntava il muso della macchina verso la Provincia. Fumavamo tutti e due, il cielo era limpido e pieno di stelle, ma c’era un freddo da cagarsi e con i finestrini chiusi la macchina di riempì ben resto di vapori di tabacco che riciclavamo dentro i polmoni e dentro il cervello unendoli alla nebbia di nuove sigarette e di chiacchiere ripetute -Non ce la faccio più. -Ma che cazzo dici, fra due giorni ti dimentichi tutto. -Non penso che a lei. -E’ finita, fattene una ragione, la tua vita sta cominciando ora. -Stavamo per sposarci. -E meno male che non lo avete fatto, pensa se aveste avuto figli. Insomma, così per ore e ore, la voce sempre più rauca, gli occhi sempre più lacrimanti. Sino a quando attraverso il vetro appannato vidi il sole spuntare dietro il tetto del Palazzo della Provincia. E allora, in un improvviso accesso di pragmatismo, realizzai che di lì a poco mi sarei dovuto trovare in tribunale, carico di inutile stanchezza, magari senza neppure avere avuto il tempo di passare a casa per una doccia. E così mi rivolsi al mio amico e gli dissi con dolcezza. -Senti, andate affanculo tu e quella grande bagassa. Ti vuoi impiccare? Impiccati. La corda te la trovo io. Appenditela alle corna e non rompermi i coglioni. E ora scendi. -Ma non mi accompagni a casa? -No, ci vai a piedi. -Ma… -Ti ho detto di scendere e di andare affanculo. Mi capita ogni tanto di ritrovare questo amico, che nel frattempo ha condotto e conduce una vita felicissima e continua scopare come un riccio nonostante abbia pressapoco la mia età, maledetto bastardo, e rievochiamo quella notte. Lui dice che come al solito sono impreciso e che non capisce come io abbia potuto fare per tutta la vita il giornalista. -Il sole non era sorto dietro il Palazzo della Provincia. -Ti dico di sì, lo ricordo benissimo. -No, era sorto verso via Roma. -Ma quale via Roma! Aspetta. Dunque, se noi diamo le spalle a Palazzo Giordano, dov’è l’Est? -Coglione, l’Est è sempre nello stesso punto a qualsiasi palazzo noi diamo le spalle. -Ci andiamo domani in piazza d’Italia all’alba e vediamo dove sorge il sole? -Un cazzo! Io all’alba dormo. Capito la gratitudine? Su dove sorge il sole non andremo mai d’accordo. Ma sul fatto che mandandolo affanculo gli ho salvato la vita, neppure lui ha dubbi.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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