Parlare di Fabio Volo è motivo di sicura impopolarità. Parlarne bene, come sto per fare, espone a giudizi caustici e a condanne definitive. So già che vi farete beffe di me, ma non m’importa. La categoria dei maestri di pensiero considera questo bresciano ex garzone di panetteria una specie di emblema della banalità, diventato inspiegabilmente una star senza uno straccio di curriculum. Non ho mai letto neppure una riga di un libro di Fabio Volo, perché non me ne è mai capitata l’occasione. Non devo dunque difenderlo da chi grida allo scandalo nel vederlo in cima alla classifica dei best seller. Però ascolto tutti i giorni la sua ora di trasmissione a Radio Deejay e ne traggo spesso spunti molto intelligenti, a partire dal modo in cui queste pillole – letture di libri, interviste, dialoghi di film, monologhi – vengono porte all’ascoltatore: servite da uno che quel che sa lo ha imparato da autodidatta e non manca mai l’occasione di ribadire la propria limitatezza culturale, quasi facendone un vanto. Per sostenere che anche da Volo si può imparare qualcosa e per spiegare come se ne possa quasi avere stima, userò due esempi recenti che lo riguardano. Qualche settimana fa, Volo ha colloquiato in trasmissione con Matteo Salvini. In anni di interviste a Salvini, mi ero sempre chiesto come mai nessun giornalista lo incalzasse su argomenti e temi che avrebbero prevedibilmente messo in difficoltà il leader leghista. Poi è arrivata l’intervista con Fabio Volo. Volo, sempre quel 43 enne ex garzone di panetteria. Il quale, ad un certo punto, ha dato a Salvini del “merda”. Non un insulto tanto per insultare, ma un insulto argomentato. “Merda”, nel frasario di Volo, è colui che canalizza l’odio verso tutti quelli che vivono una condizione peggiore della sua, nel timore che costoro possano sottrargli un poco del suo benessere. Ecco, io non ho mai visto Salvini in difficoltà come durante quell’intervista radiofonica, non l’ho mai sentito a disagio come nello scambio col grande banalizzatore. Grande banalizzatore, ma in grado di far meglio il giornalista di tanti giornalisti tesserati, ingessati nel loro abito da notaio. In grado di sventolare sotto il naso di Salvini un elenco di ingiustizie, indebite concessioni e sprechi che meriterebbero ben maggiore indignazione di quella indirizzata ai disperati dei barconi. Secondo esempio. Il 9 di dicembre, col solito tono scanzonato, Volo ha dedicato la sua ora di programma a capire con quanta consapevolezza gli italiani avessero festeggiato la ricorrenza del giorno precedente, l’Immacolata concezione. Gli ascoltatori interagiscono col conduttore attraverso mail e telefonate in diretta; da questa corrispondenza, è emerso quanto anche sedicenti cattolici praticanti avessero un’idea totalmente distorta del dogma dell’Immacolata concezione. Insomma, una buona parte dell’Italia non sa minimamente cosa rappresenti la festività dell’8 dicembre, quelle grazie alla quale non va in ufficio. Certo, basta aprire wikipedia per saperlo. Ma quanti lo fanno? E quante trasmissioni ti instillano il dubbio, per cosa di poco conto che sia? Io non mi vergogno affatto nel dire che imparo tante cose ascoltando Fabio Volo alla radio. Quel garzone di Brescia che la mattina chiama al telefono premi Nobel (Dario Fo), direttori di quotidiani (Mario Calabresi) e geni della musica (Franco Battiato). Mi piace quel suo modo di ammettersi uomo comune, impegnato a migliorarsi e a spingere qualche centimetro più in là i propri limiti. Son cose da poco. Ma noi che non siamo geni, né mai lo diventeremo, sappiamo apprezzarle.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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