Chi volesse vedere “Philomena” non legga questo post.
“Philomena” è un film uscito nelle sale nel 2013, un libro pubblicato cinque anni fa in Inghilterra ma anche una persona in carne ed ossa.
Philomena Lee è una donna di ottant’anni e oggi vive a Londra. La sua storia ha deciso di raccontarla nel 2002, quando suo figlio Anthony avrebbe compiuto il mezzo secolo di vita. Senza che lei sapesse nulla di quella creatura strappatale dalle braccia quando era poco più che un neonato.
Philomena aveva diciotto anni quando mise al mondo Anthony, nel 1952: la storia di una sera, con un giovanotto conosciuto in un luna park e mai più rivisto.
Philomena era stata cacciata di casa e presa in un convento della sua Irlanda, una casa gestita dalle suore del Sacro Cuore di Gesù e Maria dove trovavano accoglienza le ragazze madri.
Il posto si chiama Sean Ross Abbey, nella Contea di Tipperary. E fu il luogo di nascita di Anthony.
Avere figli al di fuori del matrimonio, in quegli anni, era causa di infamia ed emarginazione, il convento un luogo dove espiare tra le sofferenze quel che la morale bigotta riteneva un peccato imperdonabile.
A Philomena e le altre ragazze era concesso vedere i loro figli per un’ora al giorno, l’unica ora libera delle giornate scandite dal duro lavoro cui erano tenute per poter conservare il posto in quel purgatorio. I figli, di fatto, venivano tolti dal controllo materno.
Finché, nel 1955, Anthony venne dato in adozione ad una famiglia benestante: lo decise la madre superiora, all’insaputa di Philomena, seguendo una prassi molto comune in quello ed altri conventi dell’Irlanda, a quei tempi. Dato in adozione per soldi. Venduto, in altre parole.
Non esistono parole o artifizi letterari capaci di rendere il dolore lacerante di una madre separata dalla sua carne in un così barbaro modo.
La ragazza madre, privata dell’oggetto del suo peccato, uscì da quel carcere, ebbe un matrimonio, una figlia, un lavoro, una vita normale ed un rimpianto insuperabile. Anziché diluirsi nello scorrere del tempo, quell’angoscia cresceva giorno per giorno.
Nel 2002 il bambino rubatole avrebbe compiuto cinquant’anni e Philomena ne aveva sessantotto. Fu nel giorno del compleanno di Anthony che lei decise, per la prima volta, di parlare in famiglia del suo dramma, sempre tenuto nascosto.
La figlia conobbe casualmente un giornalista. Martin Sixsmith, appena licenziato dall’ufficio stampa del governo di Tony Blair e con trascorsi alla Bbc.
Martin decide di mettersi alla ricerca di quel cinquantenne finito chissà dove per scriverne un reportage da cedere ad una rivista britannica. Lui e Philomena tornano nel convento irlandese, ricevendo solo risposte evasive, menzogne e intimidatori inviti a desistere dal loro tentativo. Ma non si fermano e le loro indagini li spingono sino negli Stati Uniti, a Washington, dove alcuni labili tracce sembravano collocare la nuova vita del bambino adottato.
La verità emerge durante quei giorni spesi in telefonate, in colloqui con dirigenti degli uffici immigrazione e a consultare liste di cittadini americani nati in Irlanda. È una verità incredibile e crudele. Anthony, nella sua nuova vita, era diventato Michael e aveva ricevuto una solida istruzione che gli aveva permesso di entrare nello staff degli avvocati della Casa BIanca, lavorando a stretto contatto con le amministrazioni di Reagan e George Bush senior. Ma la sua carriera si era interrotta sette anni prima, nel 1995, stroncata dall’aids. Per anni Michael, aveva nascosto ai capoccioni del Partito Repubblicano la sua condizione di omosessuale.
Martin e Philomena riescono a rintracciare l’ex compagno di MIchael e a parlargli. Lui mostra foto della loro vita assieme, risponde alle domande e poi proietta un video: sequenze di viaggi o momenti di ordinaria quotidianità. Ed è tra queste immagini che, ad un certo momento, Philomena e Martin vedono Michael entrare con passo incerto nel convento di Sean Ross Abbey.
Esattamente il convento in cui la madre lo aveva messo al mondo. Rassegnato ad una morte prematura e inevitabile. l’affermato avvocato aveva deciso di tornare in Europa per cercare la madre.
Tra le suore testimoni di quella adozione alcune erano ancora vive. Sapevano perfettamente dove indirizzare Anthony-Michael per permettergli di abbracciare chi gli aveva donato la vita. Eppure, in un estremo atto di crudeltà, tacquero e negarono ancora, togliendo l’ultima speranza ad un uomo giunto al termine della sua esistenza. Madre e figlio furono ad un soffio dal ritrovarsi, ma alla verità nascosta per quarantatré anni le religiose preferirono l’omertà e il rispetto per la consegna del silenzio.
Anthony Lee tornò negli Stati Uniti per morire qualche mese dopo, disponendo che la sua salma venisse sepolta nel cimitero irlandese di Sean Ross Abbey. In quella povera lapide bruna, tra mamme adolescenti uccise dal parto assieme ai loro neonati, Philomena poté salutare per l’ultima volta un figlio mai conosciuto.
Ho raccontato questa storia perché si calcola che migliaia di bambini nati nei conventi irlandesi siano stati ceduti in quegli anni ad altre famiglie, perdendo definitivamente il contatto con le mamme.
Quando ci indigniamo per certe pratiche barbare tollerate da altre religioni, dovremmo ricordarci che in diversi conventi cattolici europei i bambini venivano strappati alle loro madri per essere venduti al miglior offerente. Sono passati meno di cinquant’anni, un respiro della storia.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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