Seconda Puntata: c’eravamo lasciati con la diagnosi, ora il viaggio vi condurrà nella periferia di Milano, all’interno della clinica della periferia di Milano, per poi entrare nei sotterranei della clinica della periferia di Milano e poi dentro ancora ai macchinari diagnostici dei sotterranei della clinica nella periferia di Milano. Quindi i primi di agosto faccio la visita allo IEO (Istituto Europeo di Oncologia), sì nonostante la radiologa tattaresa mi avesse sconsigliato perché “è piena di meridionali” (qui ci starebbe bene l’emoji tipo urlo di Munch), mentre le sciure si fanno curare all’INT, insomma consigli ineccepibili dal punto di vista professionale. Per raggiungere la clinica si prende il tram 24 dal Duomo, all’epoca ancora non c’era la pista ciclabile e passaggio pedonale dal capolinea del 24 (Vigentino) allo IEO, ora che c’è si può tranquillamente fare una passeggiata di 10 minuti. Prima era meglio prendere un secondo mezzo di trasporto, un bus che in una fermata raggiungeva l’oncologico. Devo dirvi che oltre alla massima organizzazione, pulizia e disponibilità, c’è qualcosa che si respira e che a occhio nudo non si vede: la rassicurazione. Ti senti trasmettere serenità in ogni angolo e a maggior ragione quando la senologa dopo la visita mi dice con una tranquillità che Buddha spostati «Per il suo caso, esiste la cura»
Dopo la visita scatta la programmazione, corsia preferenziale per urgenza e in un mese esatto verrò ricontattata per il pre-ricovero nei primi di settembre, nel frattempo cerchi di pensare ad altro, tipo andare al mare (cazzo ciòntumore), divertirti (cazzo sarà grave?), serate con gli amici (cazzo come faccio a dirlo ai miei?). Sì perché poi non solo c’è la paura dell’ignoto e una frase che ti martella in testa (“tu more quoque”), ma un problema che vi sembrerà assurdo è come comunicarlo agli amici e parenti? Paradossalmente sei tu che devi rassicurare gli altri, ma non è neanche così paradossale se ci pensate perché solo voi sapete cosa state passando nella vostra testolina, gli altri avvertiranno un senso di impotenza perché vorrebbero fare qualcosa e non sanno se davvero tu stia bene o fingi. Per fortuna o per incoscienza ho avuto pochissimi momenti di sconforto. Quindi, una volta comunicato ai tuoi, attendi la chiamata ed ecco che i primi di settembre sono pronta per il pre-ricovero, una “due giorni” in cui mi rivoltano come un calzino: analisi del sangue, radiografie, visite senologa e chirurgo plastico che mi alletta con il pensiero di du’sise nuove nuove, poi elettrocardiogramma e anestesista. Mentre per il giorno dopo è fissata la PET. Ma cusa l’è questa PET? PET acronimo di Tomografia a Emissione di Positroni, che tutti sappiamo cosa siano. Chi non ha un positrone in casa? È tipo TAC, si vabbè ma se non so cos’è manco la TAC? Ora ci arriviamo.
Allora dovete andare lì a digiuno da almeno 6 ore, che a me una cosa che proprio non piace è il digiuno, soprattutto quando sei in albergo e potresti scofanarti l’intero buffet. Una volta arrivati in istituto, fatta l’accettazione, vi recherete nella sala d’attesa del sottopiano, dove a un certo punto verrete chiamate da un’infermiera occhi di bragia che vi separerà dai vostri familiari. E lì rivivrete il senso di abbandono che vi ha pervaso il giorno in cui i vostri genitori vi hanno mollato all’asilo, che se poi è quello delle suore nere, notoriamente più cattive… Finirete in una stanzina dove vi faranno qualche domanda su allergie&Co e poi, poi. A distanza di quasi quattro anni, ho fatto in tutto tre PET, tre volte in posti diversi e per ciascuna la preparazione era diversa e ho potuto fare una classifica:
Al terzo posto PET a Sesto San Giovanni, visita, domande, iniezione del radiofarmaco, quello per cui dovrete stare lontane da pimpi e donne incinte per tutto il giorno, poi sala d’attesa con altri pazienti, sala non troppo confortevole, sedie normali e freddo abbestia (laggiù è freddo perché i macchinari devono sostare con temperature basse, come i vini buoni).
Al secondo posto lo IEO, forse più scenografico visto che il radiofarmaco anziché trovarsi direttamente lì in ambulatorio, viene passato al medico da una finestrella interbloccata, dove ho potuto scorgere solo le mani guantate del mittente, chissà se c’era anche un corpo oltre quei guanti. La sala d’attesa qui è più confortevole, fatta di poltroncine. Freddo abbestia uguale ma ci sono a disposizione le copertine. Ah! Una cosa che non ho detto è che dopo il radiofarmaco si deve bereberebere, qui allo IEO (o “in IEO” come usano dire i medici che ci lavorano) nella sala c’era anche il boccione, quindi potevi anche non portarti l’acqua e poi il bagno dove potevi andare ogni volta che volevi soprattutto poco prima di eseguire la PET.
And the winner isssss: Sassari! Ebbene sì, la preparazione a Sassari è ‘na figata perché anziché avere la sala d’attesa in comune, ci sono tante piccole salette con una sola poltroncina dove ti dicono di stenderti, coprirti e se puoi, addormati! Per Sassari chiedo solo di mettere qualche segnaletica in più all’interno dell’edificio, perché non è molto intuitivo dover passare un corridoio che si scopre essere la sala d’attesa di cardiologia, girare in fondo a destra, imboccare il corridoio perpendicolare e trovare il reparto giusto.
La chiamata: finalmente arriva la chiamata, è il tuo turno per scoprire com’è questa benedetta PET maaaa ne parliamo la prossima puntata, che dite?
Sparo pixel alla rinfusa, del resto sono nata sotto un palindromo (17-1-71), non potevo che essere tutto e il contrario di tutto. Su una cosa però non mi contraddico «Quando mangio, bevo acqua. Quando bevo, bevo vino» (cit. un alpino)
Mi dispiace, ma io so’ io e voi non siete un…. (di Giampaolo Cassitta)
Cutolo e l’Asinara (di Giampaolo Cassitta)
Mi vuoi vedere nuda? (di Cosimo Filigheddu)
Hanno vinto i Maneskin. Anzi, no. (di Giampaolo Cassitta)
Perché abbiamo bisogno di Sanremo (di Giampaolo Cassitta)
Cari radical-chic guardate Sanremo e non fate finta di leggere Joyce. (di Giampaolo Cassitta)
Sanremo, Italia.
La mia ora di libertà (di Giampaolo Cassitta)
Capri d’agosto (di Roberta Pietrasanta)
Il caporalato, il caporale e i protettori (di Mimmia Fresu)
Marshmallow alla dopamina (di Rossella Dettori)
377 paesi vivibili (di Roberto Virdis)
Per i capelli che portiam (di Mimmia Fresu)
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