Le cronache narrano si sia materializzato all’improvviso in un hangar dell’esercito giapponese. Il primo a vedere quel bambino in maglietta nera, calzoncini blu e scarpette da ginnastica rosse è stato un militare. Lui ha detto prima come si chiamava e poi ha chiesto da mangiare.
Di Yamato Tanooka si erano perse le tracce una settimana fa quando i suoi genitori, visto che faceva il monello, avevano deciso di punirlo facendolo scendere dall’auto e percorrendo mezzo chilometro prima di tornare indietro a riprenderlo. Non l’avevano più trovato, il loro bambino.
Dal basso dei suoi sette anni, Yamato Tannoka si è ritrovato nel bel mezzo dell’isola di Hokkaido, luogo di selvaggia bellezza, circondato da nulla che non fosse natura. Montagne da scalare e orsi da evitare, ma forse lui non lo sapeva. In maglietta, calzoncini e scarpette ha camminato per una settimana, sotto la pioggia e con temperature notturne di sei gradi. Pare sia riuscito a scalare una montagna di mille metri prima di raggiungere l’hangar, a quattro chilometri dal punto in cui era stato abbandonato.
Per cercare Yamato il Giappone aveva mobilitato circa 200 persone, tra militari e poliziotti. La caccia al bambino non aveva dato frutti e, come sempre accade in questi casi, la rassegnazione aveva preso il posto della speranza. Molti soccorritori erano stati richiamati. Ma Yamato non ne sapeva niente. E ce lo immaginiamo mentre vaga senza meta, piange e chiede aiuto, dorme all’addiaccio senza una coperta né protezione, fermo ad ascoltare le inquietudini della notte e affrontare i mostri dell’immaginazione, sperando che non si materializzino nel buio perché niente potrà difenderlo e questo lo sa bene, lo sente.
Eppure la fortuna è dalla sua parte. La natura decide di non accanirsi e Yamato trova la strada per uscire dall’incubo quando ormai nessuno ci sperava più. Forse nemmeno i suoi due, sciocchi genitori, sui quali è perfettamente inutile soffermarsi, se non per augurare loro di vivere, un giorno, lo stesso incubo capitato al loro bambino monello.
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