Il Personaggio del giorno è Vivian Maier e non c’è esattamente un perché: non era nata né è morta il 4 giugno, la data di oggi non credo abbia rappresentato granché nella sua vita e anche se fosse non risulta da nessuna parte. Mettiamola così: Vivian Maier, nata a New York il 1 febbraio del 1926 e morta a Chicago il 21 aprile del 2009, potrebbe essere Personaggio del giorno di Sardegnablogger per ciascuno dei 365 giorni all’anno. Io la paragono a Van Gogh, non per analogie artistiche ma perché Van Gogh non riuscì a vendere neppure un quadro in vita sua e il suo genio non fu riconosciuto: per Vivian è stato lo stesso.
E diciamo pure che Vivian è Personaggio del giorno perché oggi, 4 giugno 2016, ho visto il documentario sulla sua silenziosa parabola terrena. Lo ha prodotto John Maloof, un giovane di Chicago grazie alla cui tenacia, oggi, sappiamo chi sia stata Vivian e possiamo seguire le esili tracce della sua umile esistenza. Vivian è una voce su Wikipedia per merito di Maloof, che dopo la sua morte ne comprò gli averi ad un’asta per poche decine di dollari, senza neppure sapere che quelle casse imbottite di carta fossero appartenute a lei.
Chi era Vivian Maier? Ufficialmente una bambinaia, una baby sitter. Le famiglie la assumevano per badare ai piccoli di casa, ma non è perché teneva i bambini che oggi ci sono mostre su di lei nelle capitali di tutto il mondo. Vivian aveva sempre una Rollieflex al collo, una vecchia ma molto efficace macchina fotografica. Avete presente quelle macchine tenute all’altezza del petto dai reporter che scattano le foto sul luogo del delitto, nei polizieschi ambientati negli anni quaranta o cinquanta? Ecco, quella.
Vivian, che detestava gli uomini e non aveva legami famigliari, passava le giornate a fotografare ogni soggetto o oggetto le interessasse, spesso portando i bambini nei bassifondi della città dove stava. Maloof aveva acquistato i suoi averi a scatola chiusa, perché stava lavorando ad un libro sulla storia di Chicago: oltre alle migliaia di carte collezionate da Vivian, non sapeva di aver ereditato anche circa 100 mila scatti, perlopiù ancora da stampare.
Ed è stato in questo modo che il mondo ha potuto conoscere le straordinarie immagini di questa bambinaia alta come una giocatrice di pallacanestro, un po’ pazza, scontrosa, schiva, restia a parlare di sé, la cui vita privata era confinata in buie mansarde che riempiva di rullini, di giornali, di ricevute, di assegni mai incassati, di cassette audio o filmati con interviste ai passanti o a gente incontrata in supermercato.
Le foto sono gemme di umanità strappate all’indifferenza della vita metropolitana: ogni volto impresso nella pellicola della Rolleiflex rivela qualcosa, rivelano qualcosa i resti di spazzatura fotografati dentro i cassonetti, oppure le parti anatomiche dei manichini sparse su un marciapiede, prima che la vetrina della boutique venga allestita. Sono foto contestualizzate storicamente, perché l’autrice era tutt’altro che indifferente alle cose del mondo, alla politica e al costume, perciò sono anche documenti che comunicano oltre il loro valore artistico.
Certamente raccontano la sensibilità di questa americana figlia di genitori francesi, emigrati dalla cittadina alpina di Saint Bonnet en Champsaur, a pochi chilometri dal confine italiano: Vivian visse in quel villaggio per un certo periodo, come Maloof ha potuto scoprire durante la sua affannosa ricerca condotta per dare un’anima a quelle casse comprate all’asta. Ho deciso di scrivere di Vivian Maier anche per una foto in particolare.
In un’ampia via della città americana, un barbone nero con delle stecche di legno al posto della gambe chiede l’elemosina, sdraiato sul marciapiede. Vivian lo ha fotografato di spalle e sempre di spalle, qualche passo più avanti, appaiono sullo stesso marciapiede due signore felici, vestite con cappotti eleganti, passate oltre forse senza neppure voltarsi. Si capisce dal passo che sono felici. Sullo sfondo della fotografia si vedono imponenti grattacieli e si sente il chiacchiericcio della vita urbana, i clacscon, il traffico, tutti visti dalla prospettiva del mendicante.
Non so perché, ma mi ha emozionato come quando a Madrid ho visto la donna nella stanza d’albergo di Edward Hopper. Dicono le persone che l’hanno conosciuta che Vivian Maier non avrebbe accettato la notorietà da viva e forse per questo non aveva mai cercato la carriera da fotografa, pur essendo consapevole del suo talento. Forse allora è stato meglio così.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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