Ci ha terrorizzato per decenni, mediamente un allarme una volta ogni cinque anni, ha rafforzato le tentazioni di isolamento della parte più ricca del mondo da quella più povera e, fatte le debite proporzioni, ci ha fatto rivivere le cronache apocalittiche della peste trecentesca in Europa. Da qualche giorno, il virus Ebola ha smesso di essere una minaccia temibile: l’Organizzazione mondiale della Sanità ha annunciato che il vaccino atteso da quarant’anni è finalmente stato testato con successo. È stato somministrato a seimila persona, nessuna ha contratto la malattia e gli effetti collaterali sono stati minimi. La vittoria della scienza sulla malattia contiene una lezione. Principalmente dovrebbero tenerne conto i complottisti cronici, quelli secondo cui Ebola sarebbe un prodotto di laboratorio liberato dalle provette per seminare terrore e aumentare i fatturati delle aziende farmaceutiche. Oggi, con la vaccinazione di massa, quel cinico indotto dovrebbe cessare (spero si capisca che sono sarcastico). Del virus si sente parlare dal 1976, quando un caso venne scoperto proprio nella Valle dell’Ebola, un fiume del Congo: morì un insegnante di 44 anni, due infermiere vennero contagiate e non sopravvissero. Se ne tornò a parlare a metà degli anni novanta, quando la minaccia di una nuova epidemia venne divulgata in modo più martellante dai mezzi di stampa occidentali. Ricordo immagini sbiadite di una stanza d’ospedale, un nero morente sdraiato su un lettino, un medico con tuta d’astronauta che lo visitava e immaginavo, vedendo la scena, cosa potesse pensare della sua condizione il malato, trattato come un vero appestato. Ma il virus era mortale e se ne sapeva poco, non si poteva andare tanto per i sottile nelle relazioni con i contagiati. Ricordo anche un film, protagonista Dustin Hoffman, ambientato in un ospedale da campo africano dove alcuni medici specializzati trattavano il morbo, rischiando la pelle. Erano gli anni della psicosi da contagio, alimentata anche dal morbo della mucca pazza. Poi, tre inverni fa, il nuovo focolaio in Guinea ha risvegliato le paure di cui ci eravamo dimenticati. Anche un infermiere sassarese venne contagiato, cosicché l’incubo di un assedio invisibile tornò a tormentare i nostro sonni. Ma l’infermiere guarì e capimmo tutti che il virus poteva essere vinto. Nel 2016, in Africa, di Ebola sono morte undicimila persone, oltre cinquemila solo in Guinea. In quarant’anni, la scienza ha trovato gli strumenti per debellare questa minaccia. Quarant’anni di ricerca possono sembrare tanti e undicimila morti in un solo anno solo una tragedia immane, ma ai complottisti andrà anche ricordato che la peste del Trecento, in Europa, fece 75 milioni di morti, decimando la popolazione e annichilendo intere comunità. Quando la Peste tornò, due secoli dopo, Montaigne raccontò in “Viaggio in Italia” di intere città chiuse dentro le mura, per il pericolo che qualche forestiero potesse trasmettere la malattia. Allora non si poteva sospettare una macchinazione delle case farmaceutiche, perciò si puntò l’indice contro ebrei, eretici ed altri untori fin quando, alla fine dell’Ottocento, l’epidemiologo russo Haffkine creò il vaccino. A provocare la peste erano i parassiti dei ratti, dimostrò nel 1894 Alexander Yersin. E alle pulci non poteva essere imputato alcun complotto planetario.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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